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Dvergar, Doye il nano alla riscossa!

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Panchito
CAT_IMG Posted on 12/10/2011, 20:36




T__T *si deprime in un angolino*
 
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Yue Hikari
CAT_IMG Posted on 12/10/2011, 21:51




NOOOO PANCHI! Perdono! NOn deprimerti!
 
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Panchito
CAT_IMG Posted on 13/10/2011, 23:36




Al 90% dipende da me e da come ho scritto, però devo proprio chiedervi di scusarmi:
Non riesco a capire perchè la trama vi risulti ingarbugliata x(
 
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GreenArcherAlchemist
CAT_IMG Posted on 16/10/2011, 13:58




Troppe cose tutte insieme, per quanto mi riguarda. E il carattere microscopico non aiuta...
 
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Panchito
CAT_IMG Posted on 16/10/2011, 14:13




Uhm...capisco, capisco.
Per il carattere microscopico si può rimediare senza problemi, anzi, lo faccio subito x)
Per l'altro, proverò a fare meglio x(
 
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Panchito
CAT_IMG Posted on 23/10/2011, 12:47




Fermo sul ciglio del dirupo, con una luce irata negli occhi cremisi e i lunghi artigli chiusi a pugno, Lord Pendleton muove con rabbia lo sguardo sullo scorrere ribollente del fiume sottostante, maledicendo sè stesso per essersi fatto beffare in quel modo cosi scontato da due mocciosi con ancora il puzzo del latte addosso.
Anche se, ci ripensa, il nano sapeva di qualcos’altro, di cui preferiva non ricordare nulla, ma quello era un altro discorso.
I suoi sottoposti si accalcano come formiche sul ciglio del burrone, e il Lord li osserva accigliato, mentre agitano smarriti da una parte all’altra le teste munite di antenne.
“Quale è il problema, Alfonso?” chiede, anche se già conosce la risposta.
Alla sua chiamata, uno Shadowgear con una coppola in testa si stacca dagli altri e barcolla fino a lui: “Miii, l’acqua cancellato ha ogni odore, boss” afferma l’essere con uno spiccato accento siciliano, lisciandosi un paio di folti baffoni. “Nun pozziamo seguirli per adezzo, i ragazzi non sanno da che parte andare”
Pendleton sbuffa: “Lo supponevo, mio mafioso amico...a questo punto ritengo che il provvedimento più adeguato a questa situazione sia inviare il nostro esploratore migliore lungo la corrente del fiume per localizzare l‘oggetto delle nostre preoccupazioni. Provvedi immediatamente, Alfonso.”
“Miii, questa si che è una buona idea, boss! C’avevo pensato pure io, però Jonnhy dice che c’ha paura dell’acqua e non c’è verso di smuoverlo” E nel dire cosi, il siciliano indica uno Shadowgear abbracciato come un koala al tronco di una palma, con altri tre suoi simili che cercano inutilmente di staccarlo armati di piedi di porco e cacciacopertoni.
Pendleton osserva per un attimo la scena pietosa, poi prende coraggio e ci riprova: “Capisco...e il nostro secondo migliore esploratore?” chiede, speranzoso, ma sempre mantenendo un perfetto self-control.
Alfonso non risponde; si limita ad indicare l’altro Shadowgear, stavolta abbarbicato alla radice sporgente della palma, con una fila di altri esseri oscuri che cercano di staccarlo tirandolo per i piedi.
Con la testa abbassata in segno di sconfitta, Pendleton ha un sospiro di avvilimento: “Beh, immagino che sarebbe davvero poco cortese costringere questi signori ad avere a che fare con un elemento da loro cosi odiato, nevvero?”
“Nun sarebbe carino per niente, boss” dà l’assenso Alfonso con fare da saggio.
“Benchè si trattasse di una domanda retorica, mio meridionale amico, devo prendere atto della cosa. Per cortesia, dai ordine che vengano inviati...”
Le parole muoiono in gola al Lord, nel vedere una figura apparire sulla sommità del crinale. Immediatamente, come richiamati da una voce invisibile, tutti gli Shadowgear sospendono la loro attività frenetica e volgono gli sguardi verso quel unico essere, che, lentamente, sta camminando verso di loro. Cala un silenzio di pesante tensione.
La figura avanza tranquilla, ogni passo scandito dalla rilassatezza di chi sta compiendo una semplice passeggiata in un parco. Gli Shadowgear fuggono rapidi al suo passaggio e, assiepandosi ai bordi del sentiero per non intralciargli il passo, lo osservano con timorosa soggezione; come cani di fronte all’arrivo del padrone, stanno attenti anche a non sfiorare i bordi del suo impermeabile grigio. Mentre anche Alfonso si dà a una prudente ritirata, solo Pendleton resta ad attenderlo, il mento sollevato e un espressione indecifrabile sul viso quasi privo di lineamenti.
“Allora, Lord?” chiede la figura, e la sua è una voce di giovane uomo, colma di arroganza ed irrisione. “Come dunque procede codesta caccia ai topi? E’ fonte di tedio per la vostra buona persona a causa della sua elevata semplicità oppure la vostra rete è colma di buchi da cui i pesci sfuggono rapidi?”
L’uomo accompagna il suo pomposo discorso con svolazzanti gesti del braccio, come un attore che declama un monologo in platea, per poi terminare portandosi il pugno chiuso all’altezza del petto e inchinandosi lievemente in avanti con un largo sorriso, in una derisoria parodia di inchino rivolta allo Shadowgear.
“Padrone...” sospira Pendleton, abbassando il capo. “Questo vostro atteggiamento irrisorio nei miei confronti è per me fonte di grande depressione”
Al sentire quelle parole, il sorriso sul volto dell’uomo svapora lentamente, sostituito da un‘espressione di apparente sorpresa: osserva la creatura d’ombra in silenzio, dando l’impressione che stia cercando un modo per dire qualcosa, ma poi, uno scatto improvviso d’ilarità lo coglie e scoppia in una risata sguaiata. Tutt’attorno gli Shadowgear si agitano, inquieti, ma basta un sibilo accennato da parte di Pendleton per riportare immediatamente l’ordine.
L‘uomo non sembra curarsi di ciò e continua: “Andiamo, Lord! Non ti facevo cosi permaloso!” grida, la voce spezzata dalle risate. Picchia con la mano aperta sul cilindro di Pendleton, divertendosi a farglielo sprofondare sempre più sul viso ad ogni colpo. “Toc toc?” gli chiede. “C’è qualcuno in casa? O è tutto vuoto come sembra?”
Pendleton assentisce, imperturbabile: “Si, mio signore...”
L‘uomo si piega in avanti e lo osserva dritto negli occhi, gli occhi sprizzanti ilarità. “Ah? Si, signore? Si, signore cosa? Che c’è qualcosa dentro la tua piccola testolina o che è tutta vuota?” chiede come stesse parlando con un bambino stupido.
Un brivido sembra percorrere la massa di Shadowgear che affolla tutta la zona circostante: le creature appaiono combattute, alcuni aprono e chiudono gli artigli ritmicamente, altri snudano le zanne, eppure nessuno osa muoversi.
“C’è qualcosa, padrone...” risponde Pendleton, con freddezza.
“Ah, si?” chiede l’uomo, con il tono carico di derisione. “E se c’è qualcosa, forse riesci anche a ricordarti quali erano gli ordini, vero? Dai, se ti sforzi ce la fai, lo so”
Benchè il cappello sia calato fino a coprirgli gli occhi, la risposta di Pendleton è ferma e decisa: “Controllare il perimetro circolare circostante il luogo dell’operazione in un raggio di 1.5 chilometri, impedire a qualsiasi essere vivente di penetrare nel perimetro, cacciare ed eliminare ad ogni costo tutti gli intrusi, evitare assolutamente ogni tipo di fuga di notizie fino al completamento dell‘operazione. Questi ordini hanno precedenza assoluta e devono essere portati a termine.”
Con una mano sull’orecchio, l’uomo ascolta tutto assentendo esageratamente e ostentando falsa soddisfazione. “E...?” chiede alla fine, quasi deluso. “Non manca qualcosa...?”
Per la prima volta, il Lord Shadowgear ha un’esitazione: apre la bocca e la richiude subito dopo, in difficoltà.
“E...?” lo incalza l’uomo, gongolando del turbamento dell‘essere oscuro.
“E....” Pendleton deglutisce. “Trovare e ricondurre alla base...Lei...” scandisce con fatica, le parole che gli cadono di bocca come barre di piombo.
Lo stesso disagio si ripercuote su tutti gli Shadowgear presenti, che, al solo sentire quella frase apparentemente cosi innocua, arretrano, quasi temessero di vedere qualcosa di spaventoso calare su di loro da un momento all’altro.
“Molto bene! Molto bene!” Lontano dal turbamento generale, l’uomo applaude vigorosamente, un ghigno dipinto sul volto. “E’ strano, ma alla fine anche uno scarto come te riesce a ricordare le cose più semplici” Con noncuranza, si appoggia le mani sui fianchi e squadra il suo sottoposto con divertita sufficienza. “E quindi...? Adesso cosa bisogna fare...?”
Ancora scosso, Pendleton si limita a chinare il capo in un titubante segno di obbedienza: “Li troveremo, padrone”
“Eh, me lo auguro, me lo auguro, caro il mio mostriciattolo...” L’uomo scuote la testa e sospira, un largo sorriso stampato in volto. “Me lo auguro...per te...” Nel pronunciare le ultime due parole, il suo sguardo dorato sembra brillare per un istante di una sfumatura indecifrabile; passa veloce e scompare con la stessa rapidità con cui è apparsa, ma non abbastanza per sfuggire a Pendleton, che vi scorge una tacita minaccia.
“Sarà fatto, padrone” ripete, riprendendo il controllo delle proprie emozioni e della propria voce.
Quasi non l’avesse sentito, l’uomo gli volta le spalle e, in completa disinvoltura, comincia a tornare da dove è venuto.
“Lo spero per te...Lord!” dice allegramente, agitando una mano dietro di sè a mò di saluto, con il lungo impermeabile che gli ondeggia leggero sulla schiena.
Pendleton lo osserva andare via in un silenzio pieno di dubbi. Per un lungo attimo, lo Shadowgear si ritrova combattuto tra un impulso istintivo e la decisione dettata dalla ragione. Turbato, soppesa i dubbi che lo attanagliano, per poi prendere una decisione.
“Padrone!” chiama a gran voce, attirandosi gli sguardi generali.
L’uomo si ferma. Benchè non accenni nemmeno a voltarsi, la sua voce giunge decisa in risposta: “Cosa vuoi?”
Pendleton digrigna la mascella, per poi declamare con voce ferma e possente: “Gli ordini saranno eseguiti, Lei vi sarà riportata in tempo per l’operazione e gli intrusi saranno annientati! lo giuro sul mo onore di Lord!”
“Il tuo onore di Lord?”
Sorpreso da quella domanda, lo Shadowgear non ha il tempo di ribadire i suoi propositi che una risata sguaiata lo costringe a ingoiare di nuovo ciò che aveva intenzione di dire.
“Il tuo onore di Lord?” Sotto gli occhi sbigottiti di tutte le creature oscure, l’uomo ride senza controllo. “Il tuo onore? Il tuo onore? Vuoi davvero farmi morire dal ridere, mostriciattolo?” spizzica tra le lacrime. “Hai un onore? Un mostro come te? Davvero? E quanto vale? Quanto una scarpa rotta? Un verme morto? Di meno? Smettila di fare queste battute o va a finire che ci rimango sul serio!”
La profonda offesa che permea quelle parole è tale che persino le creature oscure se ne sentono ffese per il proprio Lord.
Eppure, nonostante gli sguardi preoccupati scoccatigli dai suoi subordinati, Pendleton non si muove di un centimetro di fronte a quella offesa, limitandosi ad osservare a petto in fuori e attorniato dal silenzio.
“Ahahaha, siete veramente troppo forti, veramente troppo forti!” L’uomo ride e ride, e senza aggiungere l’altro, se ne va, abbandonando tutto il crinale a un silenzio teso.
Con cauta circospezione, Alfonso si avvicina al Lord, rimasto fermo lì dov’era, simile ad una statua di pietra.
“B-boss?” chiede, titubante.
“Trovateli, Alfonso” Il comando di Pendleton è un sussurro appena percettibile, eppure ognuno degli esseri presenti lo sente chiaro come se gli venisse sussurrato direttamente nell’orecchio, e non c’è Shadowgear che non tremi nel sentire l’immensa furia che lo permea, appena celata in un tono calmo e controllato e per questo ancor più spaventosa.
“B-boss?” si azzarda a chiedere di nuovo Alfonso.
Gli occhi rossi del Lord bruciano intensamente, mentre fissano il punto in cui il padrone è scomparso oltre il crinale: “Trovateli, Alfonso, trovateli e portateli da me. Lei non deve essere toccata. Uccidete i nostri amici intrusi e portatemi i loro cuori, sono stato abbastanza chiaro?”
“Chiarissimo, boss!” Uno squillo di trombe non avrebbe dato ad Alfonso la stessa motivazione del vedere la furia gelida del Lord. “De corsa, ragazzi! Sparpagliateve e trovateli, capito che ha detto il Lord? Setacciate tutto! Rivoltate ogni pietra! Usate il Ciccio del Boss, se serve! Ma trovateli, capito? Trovateli!!!” urla, correndo su e giù di fronte alla schiera di Shadowgear, che va confusamente riorganizzandosi.
Spinta dall’urgenza di quegli ordini perentori, la grande massa di esseri oscuri si mette in moto con incredibile rapidità: in una cacofonia di zanne e artigli, sibili e richiami, le creature si dividono in una miriade di gruppi più piccoli, che, uno dopo l’altro, svaniscono, sparpagliandosi in ogni direzione come tante cavallette affamate.
Alla fine, resta solo Lord Pendleton: una piccola figura oscura con un inquietante luce ad illuminargli lo sguardo cremisi.
“Non fuggirete da noi...“ sussurra, avanzando lentamente sull’erba. “Nessuno può fuggire dall’Oscurità...“ Sotto i suoi passi, un‘ombra comincia ad allargarsi sul terreno; diventa sempre più grande, sempre più grande. “Nano e ragazzo...affonderete anche voi nella morsa infinita dell’Oscurità...assieme a tutto questo mondo...”
L’ombra si increspa verso l’alto, percorsa da un sussulto, prima di iniziare a sollevarsi, come se qualcosa sotto di essa cercasse di uscire. E più tentava, più ci riusciva. Prima un braccio, poi un altro, due arti neri come la notte fuoriuscirono dalla massa liquida, si ancorarono al terreno e cominciarono a tirare per fare emergere il resto.
Un espressione compita apparve sul volto di Pendleton: “Ma d’altronde, è inutile stare qui a fare scene” afferma, con perfetto self-control da lord inglese. “In fondo, questo non è nient’altro che il nostro lavoro”.

A parecchia distanza dal luogo in cui sta accadendo tutto ciò, dopo aver turbinato impetuosamente nelle rapide ed essersi fatto strada rombando in curve strette e tortuose attraverso le rocce dell’isola, il fiume perde la sua violenza e rallenta la sua velocità, fino a formare un grande stagno tranquillo.
Numerosi animali vi vivono in pace, dai Sahagin pensionati ai Budini allo stato liquido, ed oltre al tranquillo mormorare della corrente, solo i versi di uccelli e di animali ne punteggiano la profonda tranquillità.
La luce del sole riluce allegra sulla superficie dell’acqua, divertendosi a farla splendere di riflessi dorati, che si spandono nell’aria tersa come le risate di un bambino felice.
E’ un posto stupendo per prendersi una vacanza.
Solo che Doye e Tidus non sono lì.
Continuando a procedere versoi il mare, il fiume si stacca dal grande stagno e prosegue il suo corso in un letto ancora più stretto. Brontolando cupamente, si abbatte contro alte pareti rocciose e selve di rocce appuntite; parecchie esibiscono la sagoma stampata di un nano a braccia aperte. In questo tratto, la corrente è violenta, per colpa della forte pendenza del suolo e, nonostante i parecchi impedimenti segnati da tracce di colpi di zucca, si fa strada con forza.
Proseguendo ancora, si arriva ad una cascata che precipita in un burrone alto 15 metri e svanisce in una nuvola di vapore denso. Poco prima del precipizio, accanto al corso del fiume, c’è una piccola radura piena di simpatiche farfalline, fiori colorati e spifferi piacevoli di vento.
Ma Doye e Tidus non sono lì.
Parecchi rami sporgenti sull’acqua, che qualcuno caduto nel fiume avrebbe potuto usare come appiglio, purtroppo sono stati colpiti proprio in quella stagione da una rarissima malattia che li ha indeboliti e, per chissà quale motivo, sono infatti tutti spezzati, tranne l’ultimo, un tronco nodoso piegato dal vento, che reca incisa sulla corteccia una perfetta sagoma nanesca e i segni di unghie e denti lasciati da qualcuno che cerca disperatamente di aggrapparsi.
Ancora più giù, dopo la cascata e gli scogli, prima di arrivare in vista del mare, il fiume precipita in un tunnel. Questo percorso sotterraneo ha la particolarità di essere abitato da piccoli pesciolini dall’aria carina che si divertono a cercare di sbranare in gruppi non inferiori al milione tutto ciò che passa; oggi, si possono anche osservare, parecchi pezzi di mutandoni di taglia larga nell’acqua cristallina.
Dopo un lungo tratto costellato di curve a gomito, cascate sotterrane, zone di pesca con uso di reti d’acciaio ricoperte di aculei e pescioni idrofobi, finalmente il fiume torna all’aperto; fino a quella mattina, si divideva in due rami per aggirare una grossa pietra che stava al centro della corrente, ma qualcosa l’ha fracassata in mille pezzi e adesso il fiume scorre libero e tranquillo fino a sfociare sulla dolce spiaggia di Besaid.
Lì c’è Doye.
O meglio, ciò che ne resta.
“Maria! Che dolore!”
Mentre si trascina pietosamente fuori dall’acqua, il nostro amico nano non sembra essere nei suoi momenti migliori: è bagnato fradicio, pieno di ammaccature, ha tutti e due gli occhi neri, la capoccia piena di bernoccoli, i vestiti strappati, una conchiglia in un orecchio, zoppica e un pesce-gatto gli morde tenacemente il fondoschiena.
Proprio in quel momento, arriva Tidus di corsa.
“Ehi, Doye? Come stai? Sei ancora intero?” chiede trafelato il biondino.
In tutta risposta, gli arriva il pesce-gatto in faccia.
“TI PARE CHE STO BENE?? COS’E’, SEI CIECO, BIONDINO?” sbraita il nano spruzzando getti di vapore dalle orecchie., e direbbe altro e molto di peggio, se le forze non gli venissero meno e non cadesse a faccia in giù come un birillo abbattuto da una palla da bowling.
“Oh, ma non si può chiedere nulla” sbuffa Tidus, tirandosi via il pesce dalla faccia, che , però, apre la bocca e gli morde la testa. “AHIA!”
“Uff, uff, oh mamma, mammina mia bella” ansima Doye, distrutto, strisciando sui gomiti verso la sabbia. Appena mette una mano sul terreno, gli sembra di tornare alla vita. Ci si butta sopra a peso morto e resta lì a riprendere fiato, mentre, dietro di lui, Tidus corre in preda al panico di quà e di là cercando disperatamente di staccarsi il pesce di dosso.
“Ehi, biondo” dice il nano con voce lamentosa, senza muoversi di un millimetro. “Passi di avermi mancato mentre veleggiavo al centro dello stagno, ma se mi passavi un ramo decente prima della cascata non è che mi sarei offeso, eh?”
“Ma mica è colpa mia se erano tutti marci!”
“Se, se...mettiti dietro a ste scuse sceme”
“Ma quali...scuse...sceme! E’ vero!” risponde con difficoltà Tidus, colpendo ripetutamente il pesce-gatto con una roccia.
Doye solleva la testa quel tanto che basta per guardarlo affannarsi: “Non vengo là a strangolarti solo perchè mi mancano le forze”
“Meno...male...“ Con un sonoro plop, il pesce viene via dalla faccia di Tidus. Il ragazzo lo butta via freneticamente e sospira di sollievo, sollevato: “Ah, a proposito!” dice, ricordandosi di qualcosa all’improvviso.
“Che c’è?” chiede Doye, stancamente.
Tidus a un sorriso titubante: “Ehm, è una cosa che forse non ti piacerà”
“Tranquillo, non ce la faccio neanche a scoreggiare, figurati se riesco a menarti”.
“Ok!” Il ragazzo sembra sollevato, anche se non del tutto sicuro. “Ehm, visto quando stavi per precipitare nel fiume sotterraneo e io ho provato a tirati fuori tirandoti una fune?”
“Si? Ma vieni più vicino. Con quella vocetta da pettirosso, non riesco a sentire un cacchio”
“Ehm, ecco...” Tidus appare un po’ restio a proseguire.
“E parla, uomo, ti ho detto che non ti faccio niente, ma parla!!!!”
“Dopo che eri passato, ho trovato una leva che deviava l’acqua in un affluente tranquillo!”
“IO TI AMMAZZO, DEFICIENTE!!!!”
“Ti pareva...”
Dopo un breve scambio di opinioni, i nostri, molto poco, eroi lasciano la spiaggia e si incamminano nella foresta di Besaid: Doye davanti, borbottando parole che è meglio non riportare, e Tidus dietro, massaggiandosi la parte posteriore della testa, in cui appare il segno lasciato inequivocabilmente da una martellata. Le palme sono rade in quella zona vicino al mare, e il terreno è coperto solo da un prato di erba sottile, su cui i due camminano a passi spediti.
“Ouch, non serviva mica arrabbiarsi cosi” commenta il biondo imbronciato.
“Ragazzo, se non te ne fossi accorto, mi sono fatto un giro che al confronto farsi le montagne russe di Mirabilandia con lo skate è un’ottima idea, rendo l’idea?”
“Cos’è Mirabilandia?”
“LASCIA STARE!!!”
Cala un attimo di silenzio, rotto solo dal rumore di passi e foglie spostate.
“Uff, ma io volevo saperlo” commenta Tidus così piano che pure i colibrì si fermano in volo per un attimo a chiedersi se era solo un spiffero o se qualcuno li stava chiamando.
“Hai detto qualcosa?” scandisce molto lentamente Doye, con gli occhi color fuoco, le zanne, le corna e il fuoco intorno.
“Niente, niente...” borbotta Tidus, girandosi dall‘altra parte.
“Ne ero sicuro...” commenta Doye, tornando immediatamente normale, poi riprende: “Ad ogni modo, chi cavolo erano quelli?” chiede, scocciato.
Tidus si gira di botto verso il nano: “Cosa? Ma io pensavo che li conoscessi tu!” esclama, incredulo, ricevendo uno sguardo incolore in risposta. “Cioè, non ho mai visto mostri del genere, io che abito su quest’isola da tre anni. Appari tu dal nulla e guarda caso subito dopo di te arrivano questi cosi che provano a farci secchi senza apparente ragione, e tu vorresti farmi credere che non sai nemmeno chi sono?”
Doye lo guarda per un attimo come se fosse una statua di sale, poi fa spallucce: “Boh...mai visti...”
“MA COME SAREBBE A DIRE??”
“Colpa tua...non conosci abbastanza bene st’isola”
“Ci rinuncio...” Tidus abbassa la testa, sconfitto.
“Ecco, bravo, rinuncia, pure a campare, se ci riesci” commenta Doye, ma tra sè, pensa a ben altro.
I due neuroni rimasti nel suo cervello smettono di preparare le valigie e con sospiri afflitti tornano a lavorare: suonano la solita sirena attaccata sotto l’orecchio e ricevono in risposta un’imprecazione, dato che l’omino addetto stava pranzando. Nonostante ciò, gli ingranaggi si mettono in moto lo stesso, è una famiglia di gran lavoratori quella degli omini verdi, e Doye comincia a ragionare.
Shadowgear...
Quei cosi avevano detto di chiamarsi cosi....
Non che quel nome gli ricordi qualcosa, a parte le lezioni d’inglese alle Elementari, però il fatto che, come diceva il biondino, erano apparsi in concomitanza col suo arrivo era una cosa da non sottovalutare. Anzi, ad essere precisi, Doye è convinto che fossero presenti sull’isola anche prima.
Gli tornano in mente le parole di quel rottame del computer sulla minacciosa minaccia eccetera.
Che quei mostriciattoli avessero a che fare con la storia, a causa della quale era stato buttato in quella folle avventura, era talmente lampante da risuonare quasi banale.
Ad ogni modo, tutto porta a farlo credere, almeno secondo lui.
Mentre scavalca con un salto un grosso cumulo di foglie, un sorriso furbo appare sul volto del nano.
Se era veramente così che stavano le cose, allora il suo piano di far fare tutto a Torenban era più vicino che mai alla sua realizzazione. Gli bastava informarlo, aggiungere qualche dettaglio in più, qualche scenario catastrofico e al 300% il biondino si sarebbe buttato a testa bassa contro di loro per salvare la sua isola.
Però, ripensa, atterrando di nuovo nel mezzo dell‘erba, non c’era ancora la motivazione giusta perchè il ragazzo agisse. Gli Shadowgear avevano provato a farli secchi, certo, e questo di solito bastava per chiunque, però non avevano ancora mostrato intenzioni ostili verso gli abitanti dell‘isola. Senza chiare prove sulla loro pericolosità, il massimo che Tighewan avrebbe fatto sarebbe stato tenerli d’occhio finchè non se ne fossero andati, Doye di questo è sicuro.
“Per forza” pensa, corrucciato “Questo ragazzino sembra portato per tutta l‘impulsività che mi serve, ma non penso sia abbastanza stupido per rischiare tutto senza un motivo certo o solo per vendetta” Soprappensiero, il nano dà un calcio a un coniglio. “Magari, se non avesse mai incontrato quei cosi oscuri, potrebbe pure provarci a caricarli, ma adesso che ha visto che da solo non può tenergli testa, non lo farà mai, questo è poco ma sicuro; e se pure cercasse aiuto da quelli che abitano sto posto...” Mentre questi pensieri gli affollano la testa, lancia uno sguardo di sottecchi a Tidus, impegnato a far rotolare un grosso uovo di Garuda fuori dal sentiero, per poi fuggire a gambe levate con un paio di mega-pulcini affamati alle calcagna. “Questo tizio è un pulcino inesperto” commenta mentalmente il nano, ridacchia un attimo per la battuta, poi riprende: “Sicuro quanto il fatto che Windovs fa schifo come sistema operativo che a casa ha qualcuno che gli fa da baby-sitter e lo tiene a bada. “ Il nano ghigna tra sè. “Sto moccioso che vive da solo? Nah, non ce lo vedo proprio, va finire che si perde pure per passare tra la cucina e il cesso”
Doye formula tutti questi giudizi in perfetta tranquillità, dimenticando che fino al giorno prima, lui viveva nuotando in mari di bibite gassate, passeggiando su banchine piene di pacchi di merendine alla cioccolata e peperone, pescando tonnellate di patatine fritte e scrutando l’orizzonte in attesa dell’arrivo di container di hamburger da 16 chili l’uno, ma questa è un’altra storia.
Terminate le sue macchinazioni mentali, Doye, sbuffa scocciato. A quel punto la decisione possibile è solo una: sarebbe rimasto con quel ragazzino fino a che non avesse ottenuto la motivazione giusta per sconfiggere quei mostriciattoli, poi l’avrebbe piantato a combattere per lui.
Al diavolo i dettagli e al diavolo gli ordini del rottame, a Doye non importa che sta succedendo, l’unica cosa importante è chiudere quella faccenda e tornare a casa il più presto possibile.
“Mwahahaha, ma quanto sono cattivo” ridacchia, fregandosi malvagiamente le mani. Si blocca di botto nel vedere Tidus che lo guarda un po’ dubbioso.
“Questa cosa comincia seriamente a preoccuparmi, lo sai?”
“FATTI GLI AFFARI TUOI TU!!” sbotta il nano, poi borbotta tra sè: “Accidenti, devo proprio togliermi questa mania di pensare ad alta voce” Di colpo, come ricordandosi di botto qualcosa che gli era sfuggito, anche se in realtà lo fa solo per cambiare discorso, dice: “Adesso che ci penso...ma che fine ha fatto quella ragazza che ho...” Tidus lo guarda male. “...HO salvato! Te non hai fatto un cacchio! Non ci provare nemmeno a guardarmi cosi, sai?”
“Ma...veramente sono stato io che...”
“Che ha fatto conoscere al sottoscritto tutta la fauna marina dist’isola?”
“Ehm...l’ho lasciata a riposare in una radura nascosta nella foresta e sono venuto a cercarti”
“Se, se, adesso cambia pure discorso“ borbotta Doye, poi si rende conto di quello che ha detto Tidus: “TU HAI FATTO COSA???”
“Ehi, non c‘è nessun problema” si schermisce Tidus con tranquilla sicurezza. “Tanto l’ho lasciata in una zona tranquilla. Lì gli animali feroci ci passano raramente e non c’è granchè di pericolo. Che vuoi che succeda?”
“MA CHE C’ENTRA!! STIAMO IN UNA FORESTA! E SE PASSANO GLI ANIMALI? SE QUELLA SI SVEGLIA E NON SA DOVE ANDARE? CHE FACCIAMO, LA RINTRACCIAMO CON IL SATELLITARE? GLI MANDIAMO UN PALLONCINO? MA TI DROGHI, BIONDINO???”
“Ehm...” fa Tidus, rendendosi lentamente conto della cavolata che ha combinato.
Dopo la sfuriata, Doye si calma un po’. “Almeno hai messo qualcosa a coprire quella ragazzina? Che so, foglie, sterpaglie, rami, qualcosa del genere?” chiede ancora furente, ma con un tono di voce più basso.
“Ehm...”
“...”
“...”
“Ok, lascia perdere, andiamo a prenderla e basta...”
“Ok...”
“...Sperando che non se la sia mangiata un Coguaro”
“Niente pessimismo, d’accordo? Già mi stanno venendo i sensi di colpa! Niente pessimismo, ok???”
“Bah, fai strada, Giruvegan”
Tidus annuisce e scatta di corsa lungo il sentiero. Doye lo segue immediatamente, e nel farlo molla un calcio a un gattino finitogli tra i piedi. Getta uno sguardo rapido verso il biondino e vede una profonda preoccupazione riflettersi nei suoi occhi azzurri. Sembra davvero biasimare sè stesso per la propria idiozia. Corre rapido e concentrato, e porta scritto in volto che spera di trovare la ragazza sana e salva. Eppure Doye non alleggerisce minimamente la severità che prova verso quel moccioso ingenuo. “Stupidi personaggi famosi” mormora tra sè.
Vecchi ricordi e vecchi rancori sente raschiare dolosamente dentro lo stomaco, ancora vivi e infuocati come il giorno in cui li ha vissuti per la prima volta. Aggrotta la fronte e accelera il passo. Tiene gli occhi fissi sul ragazzo che lo precede, mentre un vecchio odio torna a richiamarlo a sè. Lo stuzzica con parole dure, di rimprovero e il nano lo ascolta; non lo abbraccia nè lo allontana, perché
sa che è parte di lui e contiene una giusta dose di verità.
L’odio per personaggi di storie come Tidus e quelli come lui.
Doye pensava di averlo ormai cancellato, ma in quel momento comprende che non è mai stato cosi.
Vede vecchi ricordi riemergere alla memoria ed ognuno di essi lo infiamma all’odio verso quel ragazzo che, inconsapevole, gli volge la schiena.
“Da questa parte!” gli grida il ragazzo. Lui si limita ad annuire, serio, senza rispondere, nel timore che la sua voce possa tradire l’astio che prova. Prende alcuni rapidi respiri, ed è di nuovo calmo.
Non può farsi trascinare dalle emozioni, non adesso che forse ha trovato un modo per tornare a casa.
Con fatica, spinge indietro, nel baule dei ricordi, nell’oblio della dimenticanza, l’odio, chiude il lucchetto e ci mette una pietra sopra. Ma non basta questo a farlo svanire. Quella sensazione forte, bruciante, resta nel sottofondo, costante rintocco che dà il ritmo alla sua anima.
A Doye sta bene cosi.
Quel odio non deve sparire, perché è giusto che esista, ma non deve neanche intralciare i suoi passi. Solo lui è il padrone della sua mente e delle sue emozioni, mai il contrario.
Mai.
“Non è molto lontano da qui!
La voce di Tidus lo richiama dai suoi pensieri, riportandolo definitivamente alla realtà.
Annuisce di nuovo, ma quella è la fine della loro conversazione. Entrambi rimangono in silenzio, concentrato e preoccupato il primo, calmo e controllato il nano, mentre percorrono un piccolo sentiero che si fa strada tra alberi e piante tutte non inferiori al metro e mezzo, carote comprese. La volta di rami sopra di loro si fa via via sempre più fitta.
“Da questo punto in poi diventa pericoloso camminare, attento a dove metti i piedi” avverte Tidus.
“Tsè, stai parlando con uno che una volta è stato dalle Giovani Marmotte, ciccio”
“Buono a sapersi...”
Dopo qualche istante, i due si ritrovano immersi nell’ombra. La luce del sole stenta a filtrare attraverso il tetto di foglie ed entrambi si ritrovano a dover guardare attentamente dove mettono i piedi. Nonostante ciò, nano e ragazzo sono esperti e coraggiosi e il loro cammino continua senza ostacoli.
“AHIA!”
A parte le cadute causate da radici affioranti non viste.
“OHIO!”
A parte gli schianti contro i rami troppo bassi.
“UAHIA!!”
A parte i voli in fossi pieni di ortiche.
“UHIO!”
A parte le ruzzolate nei roveti.
“UAAAAH!!”
A parte gli investimenti dai taxi di passaggio.
“AAAARGH!!”
A parte gli attacchi dei T-Rex.
“NOOOOO! NON VOGLIO!”
A parte i venditori di ombrelli.
A parte tutto questo, i nostri due eroi (ancora) attraversano impavidamente la selva e fuoriescono sani e salvi in una zona sgombra.
“Sani e salvi...a chi?” ansima Doye, uscendo alla luce del sole appoggiato a una gruccia. “Ma che diavolo ha che non va quest’isola? E’ peggio di Jurassic Park! Eppure a vederla da fuori sembrava tanto bella.”
Senza dargli retta, Tidus fa scorrere rapidamente lo sguardo aggrottato di fronte a loro. “E questo è niente” dice dopo qualche istante. “Devi ancora vedere tutta la parte che va dalla foresta alla spiaggia, là i Budini e i Garuda vengono giù come se piovesse”
“Fantastico...non vedo l’ora di andarci” commenta Doye, e si guarda intorno: si trovano in una piccola radura circondata da ogni lato da una fitta barriera di piante e occupata solo da un leggero prato di erba alta, che gli arriva fino alla cintola, punteggiato quà e là da grosse rocce. Da quel che può vedere, quel posto spunta come un’isola nel mare verde della foresta. Nonostante l’isolamento del luogo, il fruscio delle foglie e il sospiro del vento lo rende tutt’altro che un asilo rassicurante, anzi, a Doye sembra di sentire qualcosa nell’aria, quasi una tensione nascosta.
“Perchè non si sente nessun rumore?” pensa con una punta d’ansia.
Tidus non sembra essersi accorto di nulla, nota, impegnato com’è a cercare qualcosa con lo sguardo.
Il nano aggrotta le sopracciglia, inquieto.
C’è qualcosa che non va in quel posto.
Per quanto si sforzi di guardare, non vede nulla di anomalo, ma qualcosa, in fondo al cuore, gli grida a gran voce un pericolo imminente.
“Ehi, Gaderabannar” chiama con circospezione. Il silenzio presente gli dice che non è il caso di fare troppo rumore. Tidus non si muove. “Ehi!” chiama un po’ più forte. Nient. L’altro non sembra neanche aver sentito. “Ehi!” ripete ancora, un po’ spazientito, poi, vedendo che l’altro lo ignora, sbotta a urlare.
“EEHHHHIIIIIIIIIIIIIIII!!!!”
“AAAAAARGH!!!!”
Preso di sorpresa, Tidus grida di spavento e, mentre fa per girarsi, inciampa e cade; Doye scatta per afferrarlo, ma è troppo lento, e il ragazzo rotola fino ad andare a sbattere contro una delle forme di pietra.
“Ma che diamine hai da urlare?” chiede arrabbiato il ragazzo appoggiatoci contro a testa in giù.
“Ti ho chiamato trenta volte! Che c’è, non ci senti???” sbotta di rimando Doye.
“Perchè, ce l’avevi con me?”
“Con chi cavolo dovrei avercela, se in trecento chilometri quadrati ci stiamo solo noi due?”
“Allora almeno imparati il mio nomeeeee!!!”
Doye sta per rispondere che sa benissimo che si chiama Tgan’rnsan, quando si blocca di colpo e spalanca gli occhi, sbigottito.
Ancora nella scomoda posizione di prima, Tidus solleva un sopracciglio. “Uh? Che c’è adesso?” chiede, quando anche lui fa la stessa espressione del nano.
“E-ehi, Taberran” balbetta Doye, osservando qualcosa di grande e grosso muoversi dietro il biondo, per l’esattezza la forma che aveva scambiato per una roccia. “Ma per caso su quest’isola vivono anche delle grosse tigri che si mimetizzano da rocce?”
“S-si...” balbetta Tidus di rimando. “E ne hai una proprio dietro di te”
“E’ lo stesso per te” Doye sente un’ondata calda sfiorargli la nuca e riempirgli le mutande, ma non riesce a staccare gli occhi dalla tigre alta due metri e mezzo che va sollevandosi su zampe grandi quanto piatti di portata e digrignando le zanne in un ghigno ferale.
“C-c-che facciamo?”
“M-m-mi sa che c-c-ci resta solo u-u-una cosa”
Entrambe le tigri spalancarono le bocche ed emisero dei ruggiti assordanti.
“AIUTOOOOOOO!!!”
 
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CAT_IMG Posted on 23/10/2011, 19:14

Dio dell'Het, del Crossover, della Frutta di Bosco e del Sadomaso (gusti variegati, eh?)

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Ma LOL| Veramente divertente e peino di mistero! Chi è il cattivo? Chi è la ragazza? Perchè Doye è così incazzato? Come mai alcuni Shadowgear non sanno nuotare? Perchè non hai recensito il Torneo della Iper-Morte?
 
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Panchito
CAT_IMG Posted on 24/10/2011, 11:44




Perchè non provi a cambiare discorso per una volta? -.-
Ti recensico quando posso e quando mi gira, non ti attaccare a ripeterlo ogni santa volta.
 
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Panchito
CAT_IMG Posted on 28/10/2011, 13:23




“AAAAARGH!!” urlano terrorizzati i due sfigati, per poi sfrecciare via a tutta velocità.
O meglio, ci provarono, perchè la più vicina delle tigri colma la distanza che li separa da lei con un unico balzo e taglia loro la strada con il suo corpo smisurato.
AAAAARGH! SFIGAAAA!!!”
I due fanno rapidamente dietrofront, solo per ritrovarsi in faccia l’alito della seconda tigre.
“AAAARGH!!! SFIGAAAA!!!”
Senza più vie di fuga, restano fermi dove sono, schiena contro schiena. Tidus sguaina la spada e quella sembra essere una minaccia sufficiente alla prudenza per i due felini, che, sinuosamente, cominciano a girare attorno alle loro prede, azzardando di tanto in tanto passi in avanti, sventati dal sibilare della spada di Tidus.
“Ehi, ragazzo” chiede Doye sudando freddo, gli occhi fissi e sbarrati sui movimenti della tigre di fronte. “Non so tu, ma a me non intriga molto che quattro righe sopra c’abbiano chiamato prede. Come ne usciamo?”
Nelle stesse condizioni del nano, Tidus respinge la tigre che si era avvicinata troppo, prima di rispondere: “Stavo per chiedertelo io! Non rubarmi la battuta!”
“Oh, diavolo! Ma possibile che non sai fare un cavolo? Ma che ci sei venuto a fare, io mi chiedo!!!”
“Senti chi parla! Sei stato tu a chiederlo per prima, caro il mio nanetto!”
“Tsè, come se non stessi per fare lo stesso anche tu! Ti ho solo bruciato sul tempo!”
“Non è vero! Io...ehm...stavo pensando ad alta voce...!”
“Non è vero! E poi non c’entra! L’importante è l’intenzione inconscia!”
Le due tigri guardano perplesse i due bipedi apparsi nel loro territorio mettersi a bisticciare tra loro e cominciare ad azzuffarsi. Una goccia di perplessità scende dai colli massicci dei due grossi felini.
Ma quei due capivano in che situazione si trovavano?
Il primo felino getta uno sguardo interrogativo al secondo, ottenendo in risposta una scrollata di spalle.
Vabbè, tanto valeva chiuderla lì.
Tidus e Doye si bloccarono di botto nel sentire i ruggiti degli animali e voltarono di scatto le teste in quella direzione, rispettivamente il ragazzo con il pugno del nano affondato nella guancia e il nano con le dita del ragazzo infilate nel naso.
“Oh, mamma...” E’ tutto quello che dicono mentre le due massicce tigri piombano su di loro a bocche spalancate. In un gesto istintivo, si abbracciano e chiudono gli occhi, in attesa della fine imminente.
Che, sorprendentemente, non giunge.
Al posto del dolore atroce che si aspettava, arti staccati eccetera, Doye sente un‘atmosfera di profonda calma calare su di lui come un delicato abbraccio. Un soffio impalpabile gli sfiora il volto legnoso, carezzevole come la brezza di primavera sull‘acqua profonda, ed assieme ad esso la voce di delicati sussurri accarezza la sua mente. Una profonda pace si diffonde in lui, allontanando tutta la paura. Timoroso, apre gli occhi.
E la vede.
Alta, delicata come i petali di una rosa, bella come l’aurora; i capelli le ricadevano in una cascata dorata lungo la schiena; il volto sottile era di un candore niveo, benchè l’espressione dipinta su di esso fosse seria ed inflessibile. Doye osserva stupefatto quella ragazza, che si ergeva con sicurezza tra loro e le due tigri. Fa per aprire la bocca e gridarle di spostarsi, che è pericoloso, ma lei si volta lentamente e con un dito affusolato gli fa segno di rimanere in silenzio.
Il nano tace, confuso, e vede rilucere in quegli occhi color nocciola, intrisi di un’espressione di profonda dolcezza, un lampo del sentimento chiamato tristezza. E se ne chiede il perchè.
Senza far caso ai suoi dubbi, la ragazza cammina verso le due tigri, che, con sommo stupore di Doye, arretrano, impaurite; ringhiano, scoprono le zanne, ma arretrano, come se quella piccola figura, minuscola in confronto a loro, incutesse nei loro cuori un terrore abissale.
Doye vede la ragazza avanzare: tranquilla, solleva le mani verso gli enormi felini. Con orrore, è costretto a guardare uno di essi, il più grosso, riscuotersi a quel gesto e scagliarsi in avanti ruggendo. Proprio quando sembra che stia per calare sulla piccola figura della ragazza, uno scoppio di luce avvolge la radura. Doye si ripara gli occhi con il braccio per non restare accecato, mentre venti improvvisi lo sferzano con furia e scariche di energia saettano in ogni direzione.
Poi, il silenzio.
La luce cessa di colpo e tutto torna tranquillo, come se non fosse mai successo nulla.
Doye riapre gli occhi e, con immensa sorpresa, vede i felini fuggire e svanire nella foresta. Dietro di loro, la terra è devastata: l’erba è scomparsa, per lasciare il posto a un tratto circolare di terra brulla e sfondata. E al centro di questa devastazione, lei.
Si volta lentamente, spostando lo sguardo sul nano stupefatto. I loro sguardi si incrociano. In un attimo infinito, il nano scruta nell’anima di quel apparizione cosi misteriosa. Di nuovo, vede quel barlume di tristezza. Di nuovo, la testa gli si riempie di domande, ma nessuno giunge a dare le risposte.
Forse intuendo i suoi pensieri, la ragazza annuisce, un gesto lento e armonioso, poi, senza preavviso, crolla a terra senza un gemito.
Colto di sorpresa, Doye lancia un grido e corre rapido verso di lei.
“Ma che succede?” sente chiedere dietro di sè la voce di Tidus. Probabilmente il ragazzo doveva essere rimasto tutto il tempo con gli occhi chiusi e non aveva visto nulla, ma in quel momento a Doye non può fregare di meno.
Arriva nel centro della porzione di terreno devastata, accanto alla ragazza esanime, e comincia ad esaminarla trafelato. Il panico lo invade. Che deve fare? Lei sta bene? Sta male? Non ne ha idea! Vede che respira affannosamente, il petto si solleva e si abbassa ad un ritmo veloce, ma a parte quello non sa cosa fare. Cerca di scuoterla per farla svegliare, ma tutti i tentativi si rivelano vani. Benchè chiusi, gli occhi della ragazza is muovono sotto le palpebre, come se fosse preda di un grande dolore. Geme lievemente, si lamenta e un sudore freddo le ricopre il volto.
Maledicendosi per non aver frequentato la lezione di medicina al campus estivo per nani, la prende tra le braccia: “Ehi, moccioso!” esclama rivolto a Tidus, accorso al suo fianco in quel momento con un espressione a metà tra lo sbigottito e il costernato. “Dobbiamo subito portarla in un posto sicuro! Da che parte si va per casa tua?”
A quelle parole, il biondino sbianca: “Aspetta! Aspetta! Aspetta! Forse possiamo fare in un altro modo!” esclama, frenetico.
Doye apre la bocca per urlargli che non possono perdere tempo, ma la richiude subito nel vederlo tirare fuori da una tasca una piccola ampolla.
“Questa è una Granpozione” spiega rapidamente il ragazzo. “Qui a Besaid non abbiamo medicina migliore, se questa non funziona c’è poco da fare”
“Allora sbrigati ad usarla!” lo incalza il nano con rabbia. Sta già esaurendo la poca pazienza che ha e la situazione pericolosa non fa altro che innervosirlo maggiormente. Ancora tre secondi e gli vengono i bubboni sul deretano!!!
Tidus non risponde, si china sulla ragazza e le appoggia il beccuccio dell’ampolla alle labbra. I due la fissano bere il contenuto; nessuno apre bocca. Alla fine, Tidus getta via il contenitore ormai vuoto.
Cala un silenzio carico di tensione.
Doye ha l’impressione che il cuore possa saltargli fuori dal petto da un momento all’altro, mentre sente i secondi trascorrere con lentezza snervante, al ritmo dell’ansare della fanciulla.
Forse per il fatto che li ha salvati, forse per chissà cos’altro, prova uno strano senso di affinità per quella ragazza misteriosa, una preoccupazione per la salvezza di qualcuno che non provava da molto, molto tempo...
Scaccia quei pensieri con forza, per tornare a concentrarsi su di lei. Semplicemente, non vuole che muoia qualcuno di fronte ai suoi occhi, ecco il motivo, dice a sè stesso, e intanto prega.
Alla fine, le sue speranze vengono esaudite: il respiro della fanciulla si fa regolare e il pallore che si era impossessato del suo viso scompare. Adesso sembra quasi che dorma.
Doye sospira di sollievo, sentendo tutta la tensione accumulata sciogliersi in un’atmosfera più serena.
“Fiuuu, c’è mancato poco” esclama in un soffio, poi si rivolge con noncuranza a Tidus. “Attento a quando giri con quella roba, se ti beccano le cinofile, sono affari tuoi”
Il ragazzo, che andava calmandosi, si scandalizza: “CHE?”
“Ti insegno un trucco, metti la merce dentro uno zaino, accanto a un fazzoletto pieno di caffè...”
“NON E’ DROGA!! NON INIZIARE AD IMMAGINARTI LE COSE SOLO CON LE TUE SUPPOSIZIONI!”
“Ok, non serve arrabbiarsi tanto, eh...guarda che ti fa male al cuore”
“Grrrr.!!”
“...” Doye guarda Tidus.
“...” Tidus guarda Doye.
“Se però...”
“NON E’ WISKY!!!”
“Ah, si? Vabbè, aspettami un secondo...” Doye si allontana di corsa, e dopo qualche secondo, torna con tre grosse foglie, grandi abbastanza da poter contenere un uomo. “Ma che diavolo gli date da mangiare alle piante su quest’isola?” Chiede, mentre le sistema in terra una sopra l’altra. “Sembra di stare in una giungla tropicale”
Capendo le intenzioni del nano, Tidus solleva delicatamente la ragazza svenuta tra le braccia. “Ma questa E’ una giungla tropicale e poi non è che le nutriamo noi le piante
“Ero ironico, se non si è notato” Dye strappa il bordo estremo delle foglie, lo arrotola e accartoccia un po’ e lo appoggia sulla parte superiore, come un cuscino. “Appoggiala qua, và” dice, indicando il rozzo giaciglio.
Usando più delicatezza che può, Tidus obbedisce. “Ma prima...” chiede. “Cos’è successo?”
“Lascia perdere, Giugiumaru” Doye si lascia cadere di fianco al corpo dormiente e incrocia le braccia, corrucciato. “E’ troppo incredibile” E non mi va di avere altri inconvenienti al mio piano, completa mentalmente. Si accorge che Tidus lo sta indicando con un dito tremante.
“Che c’è?”
“C-che cavolo era quello??”
“Quello cosa?”
“Giu-giu-giu-giu...”
“Che c’è? Canti adesso? Sbloccati, scemo”
“Non ne posso più!!!!”
E mentre urla questo, Doye gli molla un calcio al ginocchio e lo fa schiantare per terra.
“Non urlare, potrebbero sentirci, scemo” lo rimprovera il nano con noncuranza. “Piuttosto, che problema avevi prima? Tua mamma non vuole che porti le ragazze a casa?”
“Mia madre è morta molto tempo fa...” la risposta di Tidus è laconica.
Doye lo guarda serio. “Pure la mia, vogliamo darci un pacca sulle spalle a vicenda o piangiamo a dirotto?”
“Ma perchè devi essere cosi bastardo??????” chiede Tidus rialzandosi di scatto.
“Scusa, deformazione professionale”
“Ma che c’entra???”
“Ancora non mi ha risposto”
Con un sospiro sconfortato, Tidus si lascia cadere accanto al nano. “Ho litigato con la mia fidanzata”
“O-oh, ora capisco tutto” Doye fischia ed estrae la sua pipa dalla barba.
Sconfortato, Tidus china la testa. “Proprio cosi, e se porto una ragazza a casa adesso, sono bello che è finito, capisci, vero?”
Capisco, capisco” Doye accende il tabacco, prima di continuare. “ Com’è successo? Stavi per raccontarmelo nella grotta, se non sbaglio”
“Si...” Tidus esita. “Però prometti che ci crederai”
“Parola di nano” promette Doye sollevando una mano in un gesto solenne.
“Non so se mi basta...”
“Parla e falla finita..altrimenti scrivo su un cartello che te la fai con le ragazze svenute e corro in giro per tutta l‘isola”
“Va bene, va bene, va bene, racconto! Racconto, ma non farlo!”
“Vedi che ci intendiamo? Che bella cosa il dialogo” Doye onora la bellezza della diplomazia con uno sbuffo di fumo e un sorriso soddisfatto.
Tidus sospira, chiedendosi per la seconda volta perchè non ha dato retta all’oroscopo quella mattina, per poi cominciare a raccontare. “E’ cominciato tutto ieri notte, stavo tornando dagli allenamenti di Blitzball, quando...”

[Flashback]

Tidus cammina distrattamente nella notte di Besaid. La sabbia risuona dei suoi passi mentre percorre la spiaggia immersa nel buio.
“Accidenti a Wakka” esclama soprappensiero, senza vera ostilità. “Si è fatto tardissimo a forza di provare quella formazione, speriamo che Yuna non si arrabbi”
Ha epoche speranze verso quella prospettiva ottimistica: la sua ragazza non era un tipo paziente per quanto riguardava gli orari; l’ultima volta l’aveva lasciato fuori per tutta la notte, cosi che potesse “riflettere sulle proprie sconsideratezze” e “agire in modo più responsabile in futuro”.
Sorride al pensiero della coperta che si era trovato addosso al momento del risveglio e alla mitezza delle notti su Besaid.
“Beh, comunque sarà meglio sbrigarsi”
E sta già per cominciare a correre, quando qualcosa attira la sua attenzione: una grossa forma scura adagiata sulla spiaggia, brulicante di piccoli esseri in movimento.
Aguzza lo sguardo per capire di cosa si tratta: non aveva avuto notizia dell’arrivo di un carico dalla nave per quel giorno e soprattutto non era mai capitato che avvenisse di notte.
“Guarda, guarda, e tu che ci fai qui?”
Quella voce gli gela il sangue nelle vene. Era solo una sua impressione o aveva una sfumatura...sensuale?
“Ecco...io stavo solo...”. Le parole gli vengono mozzate in bocca assieme al suo tentativo di voltarsi dal tocco delicato di dita sottili all’altezza del collo.
“Sssh, sssh, non serve che ti scusi...”
Le dita sconosciute si muovono leggere sulla sua pelle e a quel contatto sente le guance avvampare e un calore proibito risvegliarsi dove non avrebbe dovuto mai risvegliarsi.
“M-ma...e-e...!” Si morde la lingua per la frustrazione e l’imbarazzo. Fantastico! Adesso balbettava pure!
Un soffio caldo e una risatina musicale gli sfiorano l’orecchio, facendogli balzare il cuore nel petto.
“Che carino che sei quando balbetti...come ti chiami, carino?”
Rosso come un pomodoro, con i pensieri confusi come un vortice, con il cuore che batteva come un martello pneumatico, apre la bocca per dare una balbettante, patetica risposta.
“TIDUS!!!”
Furibonda, irata, spaventosa Yuna a passo carica nella sua direzione.
Deglutisce. Perchè non era rimasto a letto?

[Fine Flashback]

“...e quando ho cercato di spiegare cos’era successo, mi sono accorto che quella ragazza era svanita nel nulla e con lei era sparito anche quello strano oggetto sulla spiaggia”
Doye fissa Tidus in silenzio, soffiando di tanto in tanto nuvole di fumo.
“Ecco tutto.” conclude il ragazzo. “Mi ha svuotato addosso due caricatori di pallottole, prima che riuscissi a scappare. E’ stato allora che ci siamo, ehm, incrociati”
“Capisco, capisco” Il nano batte la pipa contro una roccia per far cadere il tabacco. “Immagino che sia abbastanza scontato che questa tua esperienza e quei mostriciattoli neri che hanno provato a farci le scarpe siano collegati, vero?”
“Penso di si”
“Pensalo pure, perchè è sicuramente cosi, ad ogni modo penso che la cosa più importante adesso di tornare al tuo villaggio”
“Cosa? Ma se ti ho appena detto che se metto piede là dentro Yuna mi spara!”
“Comprendo il tuo dramma, mio abbronzato amico, ma per prima cosa abbiamo un ferito” Doye indica la ragazza svenuta. “E secondo, ci serve aiuto per investigare su quello che sta succedendo qui”
“Perchè parli al plurale?” chiede Tidus, inarcando un sopracciglio.
“Questa è la tua isola o sbaglio?”
“Beh, certo”
“Ci tieni a quelli che abitano qui?”
“Ovvio, ma...che c’entra?”
“E se quei mostri incrociassero qualcuno dei tuoi amici?”
Doye sorride intimamente nel vedere un espressione seria apparire sul volto di Tidus.
“Allora” prosegue. “Vogliamo capire chi sono questi cosiddetti Shadowgear e cacciarli da quest’isola una volta per tutte?”
“Fammi strada”
Il sorriso di Doye si allarga. “Bene, che ne pensi di presentarmi la tua fidanzata, adesso?” Se riesco a convincere anche lei, sto a cavallo, completa tra sè.

“COME SAREBBE A DIRE E’ PARTITA???” Doye scuote come una bottiglia di sciroppo il tizio dagli improbabili capelli rossi alzati a pennacchio alitandogli in faccia il suo fiato infernale.
“S-si, è andata a Luka per u-un c-concerto, y-ya” farfuglia quello in risposta, riprendendosi quel tanto che basta per parlare.
“Al diavolo!” esclama il nano, buttandolo via come un strofinaccio. “Presto, Taidargor! A Luka! Dovunque sia! Andiamoci!! La ragazza viene con noi!!”
“Urrà...” Confinato in un angolino, Tidus è l’immagine della felicità...ironicamente parlando.
“E-e’ u-una brutta g-giornata, y-ya?”
“Bruttissima, Wakka, bruttissima, e può solo peggiorare”

“Abbiamo setacciato l’isola, mio Lord! Ma non abbiamo trovato traccia dei due intrusi!” Lo Shadowgear riporta il risultato delle lunghe ricerche con la morte nel cuore.
Pendleton fa scorrere un ultima volta lo sguardo sulla grande forma scura di fronte a sè, prima di rispondere: “D’accordo...speravo di poterli catturare, ma a questo punto non possiamo più attendere, iniziate i prearativi per il viaggio a Luka! Il piano avrà inizio durante il concerto!”
“Si, signore” Lo Shadowgear scatta sull’attenti, ma si attarda ancora un attimo. “Mi perdoni, signore, ma non pensa che quei due potrebbero in qualche modo esserci d’intralcio?”
Una piccola risatina sorge dalla gola del Lord. “E’ molto probabile, mio caro amico, è molto probabile” Mentre parla, un enorme ombra lo sovrasta. Due occhi gialli appaiono su una grande sagoma nera. Impaurito, lo Shadowgear arretra. “Ma d’altronde” prosegue Pendleton. “Un lavoro grande ed importante come il nostro è inevitabile che incontri problemi durante i suo svolgimento, nevvero?”
Due braccia massicce si allargano da un corpo altrettanto gigantesco. Una bocca si spalanca in un ruggito belluino, proveniente dal più profondo degli abissi, facendo fuggire il soldato Shadowgear in preda al panico.
Pendleton sorride. “Per fortuna abbiamo i nostri mezzi, i nostri piccoli mezzi”
 
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Panchito
CAT_IMG Posted on 7/11/2011, 20:36




Mare aperto.
Quella sera, una barca stranamente rumorosa solcava le acque. Due tizi sospetti, infatti, arrocati sulla tolda, si stavano insultando e urlando addosso come assatanati dalla partenza dalla spiaggia di Besaid, ovvero da cinque ore tonde tonde: il primo, un ometto bassissimo e dall’aspetto massiccio sgridava il suo compagno di non averlo avvertito prima che la sua dannata ragazza era andata in una dannata città a fare un dannato concerto e inveiva contro di lui con espressioni signorili che partivano dalla passione per il baseball di sua sorella fino a meravigliarsi di che gran cavallerizza fosse stata la sua bisnonna.
Da parte sua, l’altro, un ragazzetto biondo dall’aspetto infantile, rispondeva a tono, argomentando che lui non aveva nessuna colpa se Yuna non lo aveva messo al corrente del concerto e che, poi, era colpa sua se non era riuscito a tornare al villaggio con una buona idea per farsi perdonare, lui e quei stramaledetti cosi nerastri assassini che si era portato dietro.
L’equipaggio della nave al momento disoccupato, rispettivamente il primo ufficiale e il capitano, si erano appassionati particolarmente a quella disputa; avevano ascoltato ogni parola con un occhio puntato all’ultima rivista de “La mia Vicina” e l’altro alla rotta, alternando la loro solidarietà dall’uno all’altro dei due contendenti, a seconda della validità degli argomenti.
Alla fine, dopo aver visto sfondare il tetto di due ore e quarantaquattro minuti di furiosa conversazione e il passaggio al tafferuglio furioso, la prevedibile noia per l’impicciarsi di fatti altrui sempre uguali aveva preso il posto della curiosità e avevano smesso di seguire le vicende di quel bizzarro duo. Che nano e ragazzo se la sbrigassero pure da soli per risolvere i contrasti, loro non avevano nè la forza militare nè la voglia mentale di separarli.
Cosi, si limitarono a mettere un cartello all’uscita dalla sottocoperta che avvertisse i passeggeri che una tempesta particolarmente violenta infuriava all’esterno e non era il caso di uscire. Risolto il problema, si congratularono per l’ottima trovata e scesero a controllare le cabine.
In fondo, la compagnia a cui appartenevano aveva grande fama per il trattamento di riguardo che riservava ai propri ospiti, e non potevano mica permettersi di intaccarla.
Sopratutto, non quel giorno che trasportavano ospiti di particolare interesse, nonchè di sostanziosa generosità.
Come invocato, i capo dei clienti venne verso di loro. Aveva un aspetto decisamente poco umano, con quel suo corpo piccolo e completamente nero, gli occhi cremisi e la bocca piena di denti, ma il grosso cilindro e il monocolo sull’occhio gli conferivano un’aura di austera solennità.
Ma anche se fosse stato un gigante ricoperto di vermi a salire sulla nave, lo avrebbero accolto allo stesso modo di un re, l’importante era che pagasse profumatamente come aveva fatto quel piccoletto nero. E poi, ne avevano viste troppe sui quei mari, ai tempi di Sin, per stupirsi ancora.
“Mi perdoni, messere” esordì Lord Pendleton con perfetto bon-ton nobiliare. “Manca ancora molto per l’attracco?”
Il capitano si profuse in un largo sorriso di ordinanza prima di rispondere, ringraziando il vecchio Yevon che quei due sul ponte fossero troppo impegnati a fare a botte per accorgersi di chi viaggiava con loro. Poi, però, si ricordò che Yevon non esisteva più e si limitò a farsi i complimenti per la propria intraprendenza commerciale e ringraziare il poco controllo sui trasporti marittimi.

“Allora, siamo d’accordo, tre mesi e 4 giorni”
“Ovvio, ma fatti più vicino, amico, voglio raccontarti una barzelletta”
Doye liquidò la questione sul pagamento sparando una testata al capitano della nave che li aveva traghettati fino a Luka e mandandolo lungo sul pontile. Il nano sbuffò d’approvazione di fronte al pover’uomo con la testa attorniata da tante stelline e fece per andarsene, ma all’ultimo minuto ci ripensò; guardò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, poi, veloce come una serpe, rubò il portafoglio della sua vittima e sgattaiolò via sghignazzando mefistofelicamente.
Aveva appena messo piede sulla banchina di pietra di Luka, che una voce ben conosciuta lo richiamò con una nota di disappunto.
“Uff, non ho capito perchè sono io quello che si è dovuto offrire di lavorare per ripagare sulla nave”
Doye non si interessò per vedere a chi apparteneva, dato che lo sapeva già, si mise a contare i soldi trafugati. “Te l’ho già detto, Dixan” rispose monotono. “Perchè tu eri quello più prestante e se mi offrivo io non si fidavano e ci lasciavano su quella dannata spiaggia” Si leccò il pollice e riprese a sfogliare la mazzetta di banconote. “E poi io ho la sciatica, non vorrai far lavorare un povero invalido”
“Se, come se fosse vero” sospirò Tidus, apparendo al fianco del nano. Ormai si era abituato ai discorsi astrusi di quel misterioso individuo e sapeva che, se non voleva ritrovarsi a che fare con un lavaggio del cervello, l’unica era tacere e dargli ragione.
“Tsè, giovani diffidenti” Doye chiuse i soldi in un rotolino e, dopo averli fatti svanire nella propria barba, in un modo del tutto sconosciuto, si rivolse al ragazzo. “Allora” disse burbero come un comandante militare. “Riepiloghiamo perchè siamo qui, dobbiamo chiedere alla tua fidanzata che ci dia una mano per battere gli Shadowgear che minacciano quello sputo di terra in mezzo al mare che chiamate casa, tutto chiaro?”
“Si, si, tutto chiaro come è sicuro che Yuna mi farà a fettine per essere venuto a disturbarla proprio il giorno del concerto, e senza neanche un regalo per giunta” sospirò di nuovo Tidus, sempre più afflitto. Non era bello presentarsi in quel modo alla propria ragazza, dopo averci appena litigato e per di più per portargli notizia di mostri sconosciuti, se poi aggiungeva il fatto che quella ragazza era Yuna, allora era finita. Tidus poteva già immaginarsi il disastro: mezza isola distrutta e lui appeso ad un albero per essersi ripresentato senza una scusa decente.
Magari poteva approfittare della confusione, mentre Yuna massacrava i mostriciattoli neri, per squagliarsela all’inglese...
Doye non sembrava condividere i suoi dubbi, come se gliene fregasse qualcosa, e gli battè la mano sulla spalla con noncuranza. “Su, su, tranquillo, ragazzo, anche se non ho capito perchè non potevamo chiederlo direttamente a quelli del villaggio, sono sicuro che questa signorina non si arrabbierà se glielo chiedi con gentilezza, perciò su con la vita!”
Tanto, a lui non fregava nulla, l’isola poteva anche affondare e portarsi dietro gabbiani e isolani: se la sarebbe squagliata in ogni caso. L’importante era affibbiare quel compito a qualcun altro e tirarsi fuori da quella storia, poi poteva pure venire un’epidemia di vaiolo.
Tidus sospirò per la terza volta. Non ricordava di essere un tipo cosi propenso ai sospiri. “Uff, ma che ci posso fare se Lulu ha pensato che fosse solo una scusa per fare pace con Yuna? Almeno mi ha fatto i complimenti per l’originalità...”
“Si, prima di darti quella simpatica mazzata in testa” completò Doye, sempre con noncuranza. “Ma su, su, non importa! La ragazza l’abbiamo lasciata a loro, quindi noi abbiamo piena libertà d’azione, non sei contento?”
“Contentissimo...” Nel dire quella parola, Tidus avrebbe voluto che una pietra cadesse dal cielo e lo facesse sprofondare fino al centro della terra.
“Ne era sicuro! E adesso andiamo a sto benedetto concerto!” Doye si incamminò lungo il grande viale di pietra coperto che fungeva da punto d’approdo per le barche; si guardò intorno per qualche istante.
“Da che parte è che lo fanno?” chiese, voltandosi.
“Da questa parte” rispose Tidus, incamminandosi a destra, seguito subito dal trotterellare del nano. La strada svaniva oltre una stretta curva. Oltre di essa, sapeva che si stendeva il grande stadio utilizzato per il Blitzball e adesso adibito anche per i concerti. Abncora stentava a crederci che la sua Yuna, la seria, riservata Evocatrice con cui aveva condiviso tante avventure, si fosse esibita in quel posto.
Prima di vederla, avrebbe creduto più facilmente a un nano caduto dal cielo. Dopo averla vista per la prima volta, era stato troppo impegnato ad impedire alla bava di affogarlo per stupirsi.
Eh, si, era proprio cresciuta la sua Yuna.
“Ehi, ciccio”
La voce di Doye lo riscosse dai suoi pensieri. Con pura ira rabbiosa, si voltò di scatto a guardarlo .
“Eh, no!! Va bene tutto, ma “ciccio” no!!!!” gli gridò addosso, beccandosi, in risposta, un colpo di badile in testa, che lo spedì a capitombolare per terra.
“Non urlare. Scemo” lo rimbrottò Doye, con l’arma del delitto sulla spalla, per poi far correre lo sguardo su tutto lo spazio circostante. “E’ da un po’ che l’ho notato...è sempre cosi deserto questo posto?”
Con un bernoccolone in fronte, Tidus si rese conto che il nano aveva, stranamente, ragione: tutto il molo era completamente deserto nè si sentivano tracce di suoni in lontananza. Le barche attraccate ondeggiavano placidamente sul mare calmo e tutto era immerso in un silenzio innaturale, rotto unicamente dal sibilare del vento.
“Che strano...” Tidus si rialzò in piedi, guardandosi intorno. “Forse sono tutti al concerto”
“tutta la città?” Doye inarcò un sopracciglio, la mano appoggiata su un fianco. “Se fossi in te molto, molto attento alla tua fidanzata...”
“E CON QUESTO CHE VORRESTI INSINUARE??”

SDONG

Altra badilata. Altro bernoccolo. Altra scena di Tidus agonizzante.
“Ti ho detto di non urlare, scemo” ripetè Doye, annoiato. “Tsè, voi giovinastri avete sempre questo brutto vizio di urlare tutto, cosa siete, delle scimmie? Oppure siete solo def...” Si interruppe di colpo, voltandosi a guardare verso la curva in cui il molo svoltava.
Massaggiandosi il secondo bernoccolo, Tidus lo squadrò malamente. “Che diavolo ti prende ade...” Non riuscì a terminare la frase, perchè il nano lo afferrò per il bavero e lo trascinò bruscamente fino ai mucchi di casse che riempivano la parte del molo adibita allo scarico delle navi. Prima di potersene rendere conto, il ragazzo si ritrovò buttato come un sacco di patate dietro una montagna di barili e l’odore di sardine sott’olio che gli aggrediva ferocemente il naso.
“Ouch! Ma che diav...”
Doye gli fece cenno di tacere, accompagnato dalla terza badilata quando lui non lo ascoltò, e sbirciò la via dove si erano trovati fino a un secondo prima attraverso uno spiraglio tra le merci accatastate.
“Ouch!” fece Tidus, accostandosi dolorante. “Non serviva essere cosi brutali, diamine”
“Colpa tua che non chiudi mai il becco, moccioso” lo fulminò Doye con un’occhiataccia. “Ricorda. Chi parla sempre a voce alta o è un gran maleducato o è un politico o è sordo, in tutti quanti i casi è meglio che stia zitto” disse, agitando un dito come se fosse una bacchetta da professore.
“Tu è da tre capitoli che urli, perchè per questo non vale la regola?” sbuffò Tidus, mettendo il broncio.
Doye lo liquidò con un gesto noncurante. “Quello era uno sfogo innocente, andava fatto”
“Lo sai che ti odio con tutto il cuore, vero?”
”Non puoi nemmeno immaginare quanto ciò mi affligga, Girugan”
Mentre Tidus azzannava per la rabbia una delle legature di cuoio che tenevano fermi i barili, Doye tornò ad osservare la strada. Ancora non si vedeva nessuno. Eppure era convinto che...
“Orsù, miei validi sottoposti, siate più celeri nel trasporto! Il tempo, implacabile tiranno, ci corre alle calcagna con la velocità del vento!”
Come sospettava, numerose figure apparvero oltre la curva. Erano tutti Shadowgear e, notò Doye, portavano con loro qualcosa di grosso. Sembrava una specie di locomotiva in miniatura, con grosse ruote irte di spuntoni e un enorme ciminiera terminante in un grosso imbuto che sbuffava vapore. Un grosso telo nero impediva di vederne il contenuto, anche se Doye immaginò che dovesse trattarsi di qualcosa di importante, a giudicare da come gli esseri oscuri lo sorvegliavano, schierati attorno ad esso in una granitica formazione quadrata.
Di fronte al grosso gruppo, uno Shadowgear con cilindro e monocolo, che aveva tutta l’aria di essere il capo, esortava i suoi simili a sbrigarsi con gesticoli e brevi parole. Questi si affannavano ad eseguire, spingendo e trascinando lo strano macchinario con operosità quasi furente.
“Che stanno trasportando?” chiese sottovoce Tidus, affiancandosi al nano ed osservando a sua volta.
“Non lo so, ma non mi sembra niente di buono” rispose Doye, senza notare che parte dello stupore del biondino era rivolto anche verso di lui. Tidus, infatti, non riusciva a spiegarsi come avesse fatto quel nano arrogante a sapere che gli Shadowgear stavano arrivando proprio verso di loro, ma, poichè non c’era tempo per le domande, decise di tenersi i propri dubbi per sè.
“Che facciamo?” chiese. “Sono in troppi per poterli affondare qui”
Doye assunse un’aria pensosa. “Che c’è da quella parte?” chiese, indicando la direzione in cui il gruppo di Shadowgear si stava dirigendo precipitosamente.
Tidus seguì il dito del nano con lo sguardo e sentì il sangue gelarsi nelle vene.
“Di là c’è lo stadio” pronunciò con un filo di voce, mentre la preoccupazione lo assaliva con violenza. Era là che Yuna si stava esibendo in quel momento. Se quei mostri lo avessero raggiunto...
“Dobbiamo fermarli!” Tidus scattò violentemente in piedi, cogliendo di sorpresa Doye. La mano gli volò alla spada, ma nel farlo tirò una manata al nano, che volò all’indietro e crollò pesantemente contro dei barili. Le funi che li sostenevano si spezzarono con uno schianto sotto il suo peso. I barili caddero a terra e si sfasciarono con uno schianto assordante, riversando per terra e sul povero nano una valanga di sardine ed olio tale che neanche l’Arca di Noè lo salvava.
“Oh, cavoli” disse Tidus, rendendosi conto del disastro.
“Poffare, cos’è stato quel rumore oltremodo sospetto?”
Il ragazzo sgranò gli occhi nel sentire la voce del capo degli Shadowgear. Li avevano scoperti! E tutto per colpa sua!
“Gianni! Girolamo! Estenualdo! Numero 1 e Numero 2! Suvvia, andate a controllare, mentre noi ci avviamo verso l’obiettivo”
Tidus cominciò a sudare freddo. Che diavolo aveva combinato? Non c’era posto per scappare e il ricordo dei suoi inutili sforzi per sconfiggere anche solo uno di quei mostri era ancora vivo nella sua mente. Era impossibile, non poteva affrontarli e vincere!
“Dannazione! Non stare lì impalato!” La voce rabbiosa di Doye lo riscosse. Ancora mezzo intontito e semi-sepolto dalle sardine, il nano stava cercando furiosamente di rialzarsi, ma continuava a scivolare sull’olio sparso dappertutto.
“Vieni a darmi una mano, moccioso! Dobbiamo toglierci di qui!”
Prima di capire cosa fare, Tidus era già in movimento. Dopo esseri guardato rapidamente attorno per cercare qualcosa di utile, afferrò un remo rimasto tra le merci, forse dimenticato da qualche marinaio distratto e lo tese a Doye. Appena il nano riuscì a divincolarsi dai pesci che lo ricoprivano abbastanza da afferrarlo saldamente, cominciò a tirare con forza. Agire lo tirò fuori dalla paura gelante che l’aveva inchiodato e quasi fu sul punto di ringraziare Doye, ma poi pensò che in risposta lui gli avrebbe dato un’altra badilata e ci ripensò.
Da dietro la montagna di casse che li separava dalla strada sentì provenire una serie di sibili e schiocchi minacciosi. Comprese che gli Shadowgear inviati a controllare si stavano avvicinando e presto li avrebbero scoperti.
“Dannazione, moccioso! Datti una mossa!” lo esortò Doye.
Senza indugio, prese a tirare con rinnovato vigore. Per fortuna, l’olio che aveva reso scivoloso il terreno gli rese più facile il lavoro e cosi bastarono solo pochi, rapidi strattoni per far uscire Doye da sotto il mucchio di sardine e solo un altro per farlo uscire dalla pozza oleosa.
“Ti ucciderò dopo per questo! Adesso nascondiamoci!” disse il nano affrettandosi a rimettersi in piedi.
Tidus non poteva essere più contento.
Rapidamente, si gettarono nello stretto percorso formato dalle merci accatastate. Per loro fortuna, erano state scaricate in modo confusionario e i posti dove si poteva rimanere senza essere visti abbondavano. Si accucciarono dietro una cassa particolarmente grossa; Doye avrebbe preferito qualcosa di più sicuro, possibilmente in alto e senza il mare a solo quindici centimetri dai piedi, ma c’era poca scelta.
Mentre pensava questo, gli Shadowgear spuntassero oltre la prima fila di barili e si avvicinassero alla montagna di sardine rovesciata.
Dal loro riparo improvvisato, i nostri due eroi osservarono le creature oscure brancolare in giro annusando l’aria in cerca di tracce sospette. Un paio di loro, troppo intraprendenti, scivolarono sull’olio e si spiaccicarono pietosamente contro il muretto di pietra che delimitava il molo. I restanti sospirarono e scossero le teste in segno di afflizione, per poi continuare la ricerca.
Ad un tratto, uno Shadowgear alzò la zampa: “L’odore di sardine continua da questa parte” annunciò, indicando proprio il luogo dove Tidus e Doye se ne stavano nascosti. Chiaramente, i nostri due eroi bestemmiarono mentalmente e cominciarono a lanciare tutte le maledizioni possibili contro quel impiccione.
“E’ vero, anche le impronte lo confermano!” disse un altro, armato di lente d’ingrandimento, e la lista di insultati raddoppiò.
Con sommo orrore, Tidus vide gli Shadowgear seguire la pista con la circospezione e la professionalità di un detective privato, dato che si fermavano anche a rilevare le impronte digitali.
Era solo questione di tempo perchè li trovassero.
“Dannazione, ma questi sono peggio di cani da caccia!” esclamò cercando di non farsi sentire. “Siamo fregati!”
Doye scosse la testa. “No, forse no” disse, e nella sua voce Tidus sentì una nota enigmatica che non seppe decifrare.
Sicurezza?
Tristezza?
Arroganza?
Rassegnazione?
Non sapeva quale fosse il suo vero significato.
Il nano si afferrò la manica destra e cominciò ad arrotolarla per scoprirsi il braccio.
Borbottava tra sè mentre compiva questa operazione, cosi piano che Tidus riuscì a stento cogliere le parole.
“Cosi presto...al diavolo, non pensavo che avrei dovuto usare questa roba...”
All’incirca a metà del braccio muscoloso, stava tatuato uno strano simbolo: un cerchio perfetto, contenente un intricato motivo di linee curve che si intrecciavano in un complicato arabesco. Sembrava risplendere di una lieve luminescenza nel buio della notte, ma Tidus lo attribuì ai strani giochi di luce creati dalla luna.
Nell’osservarlo, il ragazzo sentì una strana sensazione farsi strada nello stomaco. Un timore silenzioso, che lo rese dubbioso ed insicuro verso quel simbolo dall’aspetto misterioso. Ebbe l’impressione che emanasse...qualcosa...non sapeva descriverlo con precisione, ma sentì solo una sorta di aura, e seppe istintivamente che era qualcosa da temere ed usare con estrema cautela.
Improvvisamente titubante, sollevò lo sguardo per incrociarlo con quello di Doye, e rimase sorpreso nel vedere il nano ammiccargli con aria furba, un’espressione che sul suo volto legnoso e sempre burbero assunse lo stesso aspetto del sorriso di una belva feroce.
Inquietante.
“Guarda, adesso ti insegno un trucchetto, ma, mi raccomando, non raccontarlo a nessuno”
Delicatamente, Doye appoggiò il palmo aperto sul lato della cassa che aveva di fronte. Appena lo ebbe sfiorato, una perfetta copia del suo tatuaggio vi comparve sopra, illuminandosi di luce bluastra.
Lo stupore di Tidus aumentò con l’aumentare di quella luce, che si fece sempre più brillante, sempre più forte, fino a divenire sfavillante e a offuscare ogni altra cosa...
“Oh, cacchio...”
Un esplosione fragorosa avvolse tutto il molo. Le casse e i barili vennero spazzati via e fatti a pezzi quasi istantaneamente. Colti alla sprovvista, i poveri Shadowgear ebbero appena il tempo di fare “eh?”, prima che l’onda d’urto li sparasse ad incassarsi nel muro di pietra di fronte come moscerini sul parabrezza di una gummyship.
Un polverone enorme ricoprì tutta la zona, offuscandola completamente.
Bruciacchiati, acciaccati, ammaccati, ridotti malissimo, Doye e Tidus ne vennero fuori correndo veloci come razzi.
“Ok, lo ammetto, forse ho sbagliato qualcosa” disse il nano, in uno stato a dir poco pietoso.
“NON PARLARE! NON TI VOGLIO PIU’ SENTIRE!!” gli urlò di rimando addosso il biondo, talmente ricoperto di polvere e fuliggine da poterlo scambiare per un brasiliano immigrato.
“Eh, adesso non si può neanche più sbagliare, ma come siamo nervosi”
“MI ASTENGO DAL COMMENTARE! SI ERA DETTO DI SCAPPARE, NON DI SUICIDARSI!!!”
“Beh, meglio, no? E’ un’esperienza in più”
“STA’ ZITTOOOOO!!!”
In questo clima di perfetta concordia, lasciandosi dietro gli Shadowgear piantati di testa nel muro che si agitavano a scatti, i nostri due eroi andarono di gran carriera verso lo stadio di Luka.

Pendleton era preoccupato.
Benchè il suo granitico self-control e i modi impeccabili non vacillassero di una virgola, il Lord era tutt’altro che tranquillo; temeva che qualcosa potesse andare storto e assieme a quel pensiero angoscioso, per qualche motivo che non sapeva spiegarsi, non poteva fare a meno di associare i due intrusi incontrati sull’isola.
Per la millesima volta biasimò sè stesso e la propria indecisione: era impossibile che sapessero qualcosa del loro piano, nessuno poteva saperlo, nè d’altronde avrebbero potuto seguirli fino a Luka, per il semplice fatto che avevano preso l’unica nave disponile per il viaggio.
Cercando di scacciare l’inquietudine, esaminò che i lavori filassero nel modo giusto. In quel momento, tutti gli Shadowgear al suo comando, lui compreso, erano radunati in un largo spazio vuoto. Non c’erano luci, ma ciò non era che un particolare irrilevante per creature nate dall’Oscuirità più pura come loro. Pendleton poteva sentire chiaramente la voce della cantante riecheggiare sopra di sè attraverso il basso soffitto, e dovette ammettere che ci sapeva fare.
Anche se, presto non avrebbe avuto più nessuna importanza.
Il Lord spostò lo sguardo rossastro su un gruppo di Shadowgear, più grandi degli altri, che avevano spalancato il carro d’acciaio e stavano disponendo tutti i componenti al suo interno in posizione. Nessuno Shadowgear poteva essere paragonato in forza fisica ai deboli e patetici Heartless, ma questi mostravano toraci larghi e muscolature possenti, costellati da pezzi di armatura biancastra saldati in modo irregolare ai loro stessi corpi; sulle teste spuntavano un paio di massicce corna da toro, terminanti in una punta a spirale.
Nell’osservarli al lavoro, Pendleton non riuscì a reprimere un moto d’orgoglio.
I Taurus, questo era il nome di quella specie di Shadowgear, sollevavano e si passavano pezzi di metallo grossi come tronchi d’albero con la stessa facilità con cui avrebbero spostato uno stuzzicadenti.
Una visione che, almeno in parte, lo rassicurò: se si fossero presentati inconvenienti, non avrebbero avuto problemi ad eliminarli, non con quella forza a disposizione.
“E poi, c’è sempre lui” pensò il Lord, gettando un rapido sguardo all’enorme sagoma accucciata in un angolo, talmente grande da doversi ripiegare su sè stessa per entrare in quello spazio angusto.
Sospirò soddisfatto. No, non c’era davvero nulla di cui preoccuparsi.
Mentre pensava questo, notò uno Shadowgear farsi largo tra i presenti, diretto verso di lui, probabilmente recante le notizie che aspettava.
“Dunque, quale è la situazione, mio valido subordinato?” chiese.
“La squadra inviata a sistemare le bombe è tornata, mio Lord” esclamò lo Shadogear, con un saluto militare.
Pendleton annuì. Tutto stava andando come previsto.
“Perfetto, l’orologio batte il tempo e la vittoria cavalca al nostro fianco” disse soddisfatto, poi lo colse un dubbio. “Ma toglimi una curiosità, o messaggero, questo compito, per quanto arduo, non avrebbe dovuto prendere solo mezz’ora, invece delle due ore che vedo qui trascorse?”
“Ehm, avrebbe dovuto, mio Lord” si schermì il soldato oscuro, un po’ imbarazzato. “Ma i ragazzi della squadra hanno detto che il concerto è cosi bello che era un peccato perderselo, poi c’è stato l’intervallo e, tra la fila per comprare i pop-corn e la pausa digestione sindacale, hanno perso un po’ di tempo”
Pendleton si mollò una manata in fronte. “Ahimè, sono queste le disgrazie che ci spingono a chiederci perchè degli sciagurati abbiano voluto abolire i lavori forzati” Sospirò. “Ebbene oggi sono magnanimo, dì loro che da stasera dovranno solo pulire la camerata a testa in giù e con uno spazzolino da denti in bocca per i prossimi settantaquattro giorni”
Un po’ perplesso, lo Shadowgear messaggero si grattò la nuca. “Ehm, con tutto il rispetto, mio Lord, questa non è propria quella che chiamano magnanimità”
“Devo dedurre da cotali parole che desideri unirti a loro?”
“Vado a riferire...”
“Bravo, mio fido, apprezzo questa tua pronta solerzia” Il Lord seguì con lo sguardo il messaggero finchè non scomparve, assorbito nell’Oscurità. Sarebbe riapparso sugli spalti, da un’altra pozza d’ombra e il suo messaggio sarebbe stato recapitato.
Fugati ormai anche le ultime preoccupazioni, Pendleton si rivolse alla massa di Shadowgear in attesa.
“Miei fidi!” disse, e tutti, come figli che accorrono al richiamo del padre, compreso l’enorme essere nascosto nell’ombra, interruppero le loro attività per ascoltarlo. “I preparativi principali sono stati ormai completati! L’ora è giunta per compiere ancora una volta il nostro dovere! Concediamo la gloriosa Rinascita anche per questo pianeta infestato dalla Luce! Mostriamo a questi ciechi umani il potere dell’Oscurità!”
Bastarono quelle poche parole per far infiammare i cuori oscuri di tutti gli Shadowgear, che, come un solo essere, sollevarono gli artigli e li incrociarono in una stretta uncinata, lasciandosi andare a un grido carico di fanatica determinazione.
“Tutto deve tornare all’Oscurità!!!”
Nel caos delle strida, Pendleton sorrise. Tutto stava andando al suo posto. Che i patetici umani si godessero quel loro misero divertimento.
L’ironia della situazione lo divertì.
Proprio quella musica cosi vitale, che li aveva attirati con la prospettiva del divertimento, avrebbe fatto da requiem alle loro vite...

Tidus e Doye giunsero a destinazione dopo alcuni, rapidi minuti: l’enorme struttura circolare si stagliava di fronte a loro in tutta la sua mole. Proveniente dall’interno, la voce di Yuna risuonava chiara, accompagnata da una musica vivace.
“Uff, puff, ci siamo?” chiese Doye, con il fiatone.
“Accidenti, il concerto deve essere già iniziato” disse Tidus, in agitazione per le sorti della sua ragazza. Se le fosse accaduto qualcosa, non sarebbe mai riuscito a perdonarselo. “Presto, muoviamoci! Dobbiamo entrare!”
Stava già per riprendere la corsa, ma si fermò nel vedere Doye che gli faceva ceno di fermarsi.
“Puff, calma, uff...prima mi riposo, uff”
“LO FAI DOPO, VA BENE??”
“Puff, te l’ho già detto che devi stare calmo, moccioso?”
“NON VOGLIO STARE CALMO! DOBBIAMO ENTRARE! YUNA POTREBBE ESSERE IN PERICOLO!”
“D’accordo...” Doye prese un lungo respiro e si raddrizzò. “Comincia a metterti in fila, vai”
Tidus si bloccò nell’atto di tirare un cazzotto in testa a quel testone e lo guardò stupito.
“Quale fila?”
“Quella fila” precisò Doye, indicando la titanica fila di persone di fronte all’ingresso dello stadio, in attesa di poter entrare.
Si sentì un chiaro e cristallino clonk: era la mascella di Tidus che cadeva per terra.
“M-ma da dove viene tutta questa gente? Pensavo che il concerto fosse già iniziato” chiese a tutti e a nessuno con un misto di incredulità e orrore.
“Beh, supponiamo che sia iniziato da poco e che questi siano i ritardatari, questo direi che avrebbe senso” assodò Doye con noncuranza, guardandosi le unghie.
“E-e che si può fare?” chiese Tidus. Non sapeva più che pesci prendere.
“Mah, non so, non mi intendo di concerti” rispose Doye sempre con la stessa noncuranza.
Disperato, Tidus si afferrò la testa tra le mani.
Che poteva fare? Che poteva fare? Che poteva fare?
Era i ncasi come quelli che avrebbe voluto mettersi a urlare.
“Ehi, moccioso, tranquillizzati” lo richiamò Doye. “Adesso facciamo una telefonata al servizio di sicurezza e gli diciamo di tenere gli occhi aperti perchè c’è il pericolo di un incidente. Considerato quanti caproni ha richiamato qua sto concerto, faranno il diavolo a quattro per controllare che tutto vada bene, beccheranno i mostriciattoli e noi dovremo solo goderci lo spettacolo da qualche parte”
“No! Tu non capisci!” sbottò Tidus.
Doye inarcò un sopracciglio. “Cosa non capisco? Non dare di matto, eh?”
“Non do per niente di matto! “ gridò il ragazzo. Era teso come una corda di violino, ma un’espressione furiosa gli brillava negli occhi. “Yuna è la mia fidanzata! Sono io che devo salvarla! Io e nessun’altro! Se fosse qualcun altro a farlo, io...io...” Strinse i pugni ed abbassò lo sguardo, mentre la voce gli si spegneva. “Io mi sentirei inutile...”
“...”
Tidus digrignò i denti. “Io....so di non meritarla...lei aveva deciso di sacrificare sè stessa per salvare questo mondo, mentre io ero cosi stupido da non riuscire nemmeno a vedere mio padre oltre l‘invidia che provavo per lui...lei...lei è tutto ciò a cui tengo, non potrei lasciarla andare, non potrei sopportare di vederla tra le braccia di un altro” Tidus tremava mentre parlava, ogni parola intrisa di passione disperata. Si sentì immensamente ridicolo a parlare cosi apertamente proprio a quel nano bizzarro, ma credeva anche nella più piccolo di quei pensieri al punto che avrebbe preferito morire piuttosto che rinnegarle.
Tre parole, tre piccoli sospiri indugiarono nella sua mente.
“Io la...”
Yuna...lei era la sua luce...
Oltre l’amicizia, oltre l’affetto, un sentimento fortissimo lo legava a lei, cosi impetuoso che sarebbe stata follia anche solo pensare di poterlo frenare, un legame cosi fondamentale, cosi indispensabile che non sarebbe riuscito a vederlo spezzarsi e sopravvivere per piangere ciò che aveva perduto. Piuttosto che quello, piuttosto che perdere la sua luce, il suo cuore sarebbe andato in mille pezzi e si sarebbe disperso nella brezza marina.
Tre parole, tre piccoli sospiri indugiarono nel suo cuore, troppo grandi perchè riuscissero a uscire dalla gola.
“Io la...io la am...”
Doye rise. La sua fu una risata di pura allegria, senza nessuna malizia nè ironia; fu unicamente lo sfogarsi di un misto di emozioni e risuonò nella notte più forte delle note del concerto.
“Sei troppo forte, ragazzo” spizzicò il nano tra le risate.
Tidus lo guardò, offeso, e con il cuore in tumulto. Si stava prendendo gioco di lui?
Fece per ribattere, ma, un attimo prima che potesse farlo, una consapevolezza gli affiorò in testa, facendolo tacere. Per la prima volta, Doye non l’aveva chiamato “moccioso”.
“Bene, bene, bene, l’avevo capito che eri un ingenuo, ma cosi mi fai sentire uno che sopravvaluta”
Il nano aveva un gran sorriso sul volto quando si afferrò la manica del braccio opposto a quello che aveva scoperto al molo e la sollevò.
Un altro simbolo arcano, stavolta di un giallo puro come il miele, brillò cupamente nell’aria notturna.
“Cosa...” fece per dire Tidus, sentendosi di nuovo assalito dallo stesso timore di poco prima, ma venne zittito all’istante.
“Taci, scemo” Doye distolse lo sguardo da lui e lo puntò verso lo stadio, cominciando a studiarlo con occhi critico. “Non voglio nemmeno provare ad entrarci dalla porta principale, tanto già si sa che sarà solo una gran perdita di tempo...”
Con un rapido gesto, mosse l’indice nell’aria. Mentre faceva questo, la stessa luce del simbolo apparve sulla punta del dito e si impresse dove questo passava, creando delle tremolanti linee dorate che presero a svilupparsi e ad intrecciarsi come le radici di un albero.
“E q-quindi?” balbettò Tidus, gli occhi puntati su quello spettacolo stupefacente.
“E quindi si entra con un altro trucchetto” gli fece eco Doye, guardandolo con un sorriso, mentre di fronte a lui le linee dorate si legavano in una trama fitta. “Occhio, non dirlo a nessuno, eh?”
Il disegno luminescente si allargò in larghezza e lunghezza finchè fu abbastanza grande da poter contenere una persona eretta. A quel punto, si illuminò di una luce intensa e forte, tanto che Tidus dovette ripararsi gli occhi per non rimanere accecato, poi sembrò quietarsi.
Stupefatto, Tidus abbassò il braccio. Di fronte ai suoi occhi sgranati, una riproduzione dieci volte più grande del disegno sul braccio di Doye galleggiava pigramente nell’aria. Ogni linea che ne formava il complesso schema sembrava avere vita propria, si muoveva, ondeggiava, ma senza mai che il disegno nel suo complesso svanisse o cambiasse. Dava l’impressione di essere disegnata nel cielo, oppure ne fuoriusciva, era impossibile descriverlo con precisione.
Per un breve istante, Doye squadrò il simbolo con aria critica. “Uhm, fa assolutamente schifo” ponderò, pensoso. “ma chi se ne frega, per un passaggio solo va benissimo”
Quelle parole risuonarono come colpi di cannone alle orecchie di Tidus.
“Un passaggio?” esclamò. “Vuoi dire che questo coso può portarci dentro lo stadio?”
“Ma no, serve come decorazione, è che è troppo buia sta notte e mi pareva bello metterci qualche lucina...e certo che serve per entrare dentro sto cacchio di stadio! Sennò che lo facevo a fare sto spettacolo?”
Tidus si riparò con le mani dalla furia nanesca che lo aggrediva. “Va bene! Va bene! Scusa!”
“Ad ogni modo...” A dispetto di tutto, non venne nessuno colpo da Doye, che, anzi, si fece serio. “Adesso non perdo tempo a spiegarti che cos’è questo affare che ho disegnato, tanto non lo capisci”
“Grazie della fiducia...”
“Zitto. Dicevo, questo coso vale solo per l’andata, poi si chiude e addio a qualunque possibilità di ritorno”
Tidus comprese a cosa volesse arrivare il nano. “Non mi importa” affermò, determinato. “Mi basta entrare là dentro, poi il resto non ha nessuna importanza”
Doye osservò il ragazzo che gli stava di fronte con espressione indecifrabile, prima di lasciarsi andare a un largo sorriso. “Accidenti...” mormorò, grattandosi la testa. “Non mi pagano abbastanza per fare questa roba” Sollevò lo sguardo, una luce arrogante che gli brillava negli occhi. “Allora, moccioso, penso sia ora di andare a calciare qualche sedere di mostro oscuro, vero?”
Tidus sbattè il pugno contro il palmo. “Puoi dirlo forte, dannazione” disse, rispondendo al sorriso del nano. Iniziò a camminare verso il portale luminoso, ma all’improvviso si fermò.
“Ah, Doye?” chiamò, una nota di incertezza nella voce.
“Mh? Cosa c’è ancora?”
“Per questo...per l’aiuto che mi stai dando...” Tidus articolò le parole con imbarazzo. Non era abituato a cose del genere.
“Grazie...”
La risata aspra di Doye si estese nella notte. “Tieniteli per te i tuoi stronzi ringraziamenti, moccioso, di te non me frega nulla, questo lo faccio per me”
Un’ondata di curiosità e confusione colse Tidus. “Cosa significa?” chiese, perplesso.
“Niente che ti riguardi” ghignò Doye. “Sappi solo che mi hai fatto ricordare qualcuno che pensavo di non poter rivedere”
Tidus fece per chiedere ancora, cosa significasse, chi avesse mai ricordato al nano, cosa significasse, ma non ne ebbe mai la possibilità. La mano di Doye gli si abbattè sulla schiena, spingendolo con violenza verso il varco.
Colto di sorpresa, cadde in avanti, dritto dentro il simbolo dorato.
La luce riempì il mondo e, mentre ogni cosa svaniva sopraffatta da essa, il ragazzo ebbe appena il tempo di sentire ancora la voce di Doye il nano.
“Stupido moccioso...non capisci proprio niente”
 
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CAT_IMG Posted on 7/11/2011, 21:43

Dio dell'Het, del Crossover, della Frutta di Bosco e del Sadomaso (gusti variegati, eh?)

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Woooow!
Finalmente degli sviluppi!
Tidus romanticone FTW, Doyte che tira fuori trucchetti, e una bataglia che si profila all'orizzonte! Magistrale superbo sublime eccezionale PIUTTOSTO BUONO...
 
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Orfeo della Lira 2
CAT_IMG Posted on 9/11/2011, 22:24




Vediamo un po'... Sotto l'aspetto degli errori non c'è nulla da dire, d'altronde con me come beta reader non si può pretendere l'imperfezione.
Doye rimane uno stronzo, anche se uno stronzo col cuore d'oro. Bella la parte finale, davvero, complimenti. Tidus comunque lo odio xD
Beh, in sostanza, un bel capitolo, anche se non ai livelli irraggiungibili del prologo(cit.)

* Thumbs Up *

Ah, io so cose che voi umani non potete nemmeno immaginare (cit. arrandom)
 
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CAT_IMG Posted on 24/11/2011, 22:08

Saltare, ballare, trallallà!

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“Mio Lord, siamo pronti ad agire!”
Le parole dello Shadowgear messaggero erano musica per le orecchie di Pendleton.
Il Lord gettò un rapido sguardo tutt’attorno a sè, impassibile, prima che un lungo, profondo sospiro di apprezzamento gli attraversasse la gola.
Era un suo piccolo vezzo: amava il pensiero di essere stato l’ultimo ad aver assaporato l’odore di un pianeta cosparso di Luce.
E sarebbe stato l’ultimo.
Tutto era pronto. Nell’atmosfera allegra, immersa nella musica vivace che andava a ritmo con la voce della cantante, tutto era pronto. Nascosti dietro ogni ombra, le squadre di incursori avevano completamente circondato il perimetro esterno dello stadio. Confusi in ogni brandello di oscurità rimasto tra le luci cangianti del concerto, dozzine di soldati oscuri erano sparsi in ogni angolo del perimetro interno. Immerso nell’ombra di uno degli spettatori della folla scalpitante, ogni Shadowgear affilava gli artigli e le zanne. E infine, schierati dietro di lui attorno all‘essere oscuro gigante, il restante dei suoi sottoposti attendeva con trepidazione.
Tutti non aspettavano che un suo cenno per agire.
Pendleton si toccò la tesa del cilindro con un artiglio, calandoselo leggermente sugli occhi. Un piccolo ghigno gli si allargò sulla faccia nera.
Come poteva deluderli?
Lentamente, molto lentamente, gustando ogni secondo di quel momento intriso di trionfo, Pendleton sollevò il braccio verso l’alto. Tutti gli Shadowgear presenti nell’arena si tesero, pronti a scattare al comando della volontà del Lord.
La musica del destino andava secondo il loro volere, non c’era nulla che potesse fermarli.
Pendleton sorrise.
E all’improvviso, un esplosione squarciò la sinfonia perfetta degli Shadowgear. La folla festante si bloccò di colpo, inorridita dalla sorpresa. La cantante tacque, il concerto si spense in un silenzio completo.
Lo sguardo del Lord si mosse in ogni direzione, appena allarmato, alla ricerca della fonte di quella stonatura che rischiava di mandare all‘aria ogni cosa..
“Che sa succedendo, poffarbacco?” chiese, senza perdere un briciolo di calma, mentre mormorii stupiti e preoccupati traversavano la folla come onde nel mare.
Richiamato all‘istante, lo Shadowgear messaggero emerse dall‘ombra. “Mio Lord, tutta la tribuna 13 è stata colpita da un esplosione improvvisa!” riferì trafelato, conscio di come un simile imprevisto incidesse sul loro successo.
Pendleton aggrottò la fronte. “Tutto ciò è frustrante” commentò, sempre calmo ed impeccabile. “Come è potuto succedere?”
“Non lo sappiamo, mio Lord, per colpa del fumo non riusciamo ad individuare la fonte dell’esplosione”
“Poffarbacco!” La nota d’ira, quasi impercettibile, nel tono di Pendleton fece arretrare il messaggero, terrorizzato. “Non possiamo permettere a niente di ostacolarci! Date l’ordine che tutte le squadre si mettano in azione! Immediatamente!”
“Ma...mio Lord!” Cercò di protestare il messaggero. “In questo modo l’ordine dell’operazione non può essere rispettato!”
“Mi permetto di insistere, mio amico” disse Pendleton, assottigliando gli occhi cremisi e la minaccia insita nella sua voce bastò al messaggero per abbassare la testa in un rapido saluto e scomparire di nuovo, diretto a portare gli ordini.
Quando fu svanito, Pendleton scosse la testa con disappunto. No, non era infuriato, nè preoccupato, forse prima lo era stato, ma adesso non più. Gli sciocchi umani erano allarmati e, dove prima c’era una confusione ideale per un azione rapida e mirata, adesso c’era solo un silenzio attonito che non avrebbe permesso ai soldati oscuri di muoversi a proprio piacimento.
“Ciò non cambierà nulla” borbottò Pendleton. Non cambiava nulla. Senza l’effetto sorpresa, sarebbe stato più difficile eliminare tutti gli umani per impedire che qualcuno potesse dare l’allarme al resto della città, ma questo non precludeva l’esito della missione.
Pendleton annuì. Li avrebbero bloccati tutti prima che la voce diffondesse, dovevano solo agire in fretta.
L’unica incognita dipendeva da ciò che aveva causato l’esplosione. Il Lord poteva immaginarne la causa, anzi gli autori, e anche se andava contro ogni concezione logica, si convinceva sempre di più che doveva trattarsi di quel irritante nano e di quel moccioso biondo.
“Beh, che vengano” mormorò tra sè. Fece un gesto agli Shadowgear schierati di dietro di lui. Quelli spalancarono le bocche e si scagliarono in avanti, gettandosi uno dopo l’altro dalle aperture che li avrebbero condotti sugli spalti.
Pendleton rimase fermo mentre dozzine di essi lo superavano correndo e ruggendo, lo sguardo cremisi fisso nel punto in cui il fumo oscurava la visione di parte della tribuna.
“La vostra maleducata interruzione è una stonatura che ne ha precluso la perfezione, messer nano, ma la nostra sinfonia non è stata ancora spezzata”
L’enorme creatura d’ombra gli si mise accanto, in attesa. Due occhi rosso sangue brillarono nell’Oscurità.
Lo sguardo di un predatore che attende, paziente.


A Tidus sembrava di essere stato passato in un frullatore.
Dopo aver attraversato il portale, una luce accecante lo aveva avvolto assieme a una sensazione di freddo cosi forte che aveva temuto di morire assiderato come un pesce surgelato. Subito dopo, le orecchie gli si erano riempite di un fragore violento e si era sentito tirare da ogni direzione, quasi come se il suo corpo avesse improvvisamente deciso di smontarsi di propria volontà. Infine, quando tutto era svanito in un silenzio completo e aveva cominciato a pensare di essere morto, era stato aggredito dal calore.
Una vampata bollente, bruciante, lo aveva travolto, aggredendogli il corpo con centinaia fitte violente; bagliori di luce gli erano balenati di fronte agli occhi e un dolore lancinante gli aveva invaso il corpo come migliaia di piccoli uncini che strappavano la carne.
Per un attimo lungo quanto un‘esistenza, si era sentito come un filo d’erba in un incendio. Non riusciva a muoversi e il dolore gli impediva anche solo di provare a pensare a qualcosa. Con solamente un profondo terrore a cui aggrapparsi, si era lasciato andare, travolto dal tormento.
Poi, di colpo, tutto era cessato. Il calore, la paura, la sofferenza, tutto era svanito ed era giunta una calma cosi piacevole che avrebbe potuto urlare dalla felicità se avesse avuto abbastanza voce.
Era ancora lì, ansimante e con il cuore e la mente in tumulto. Rimase fermo per quelle che gli parvero ore, con la terrorizzante prospettiva che il tormento stesse per riprendere da un momento all’altro.
Passarono secondi lunghissimi, scanditi solo dal suo respiro veloce e spaventato. Lentamente, mentre la consapevolezza che il dolore non sarebbe tornato prendeva piede in lui, riprese il controllo delle proprie emozioni e la calma riprese, almeno in parte, il sopravvento.
Il pensiero di Yuna in pericolo lo travolse come un’onda di maremoto.
Agitato e con il cuore che batteva a mille, cercò di capire se il portale creato da Doye li aveva inviati davvero dentro lo stadio.
La prima cosa che percepì fu qualcosa di freddo e liscio sotto di sè.
La seconda che era rimasto tutto il tempo ad occhi chiusi.
Dandosi dello sciocco, li aprì.
Nero. Il mondo era coperto dal nero. Non riusciva a vedere nulla, solo la completa Oscurità.
Allarmato, battè le palpebre e cercò di mettere a fuoco, ma il risultato non cambiò Stava per sfregarsi gli occhi, quando qualcosa gli afferrò saldamente il polso.
Tidus gridò per la sorpresa e cercò vanamente di divincolarsi. Tutto inutile, la presa dell’altro era una morsa d’acciaio. Il ragazzo digrignò i denti per la rabbia di non riuscire a vedere di chi si trattasse e cominciò a menare calci e pugni verso i punti in cui riteneva trovarsi il suo assalitore.
“Dannazione, stà buono! Stà buono, accidenti a te! Sono io! Sono Doy...ARGH!!!”
Tidus comprese chi aveva di fronte proprio nel momento in cui il suo piede colpiva qualcosa. Trasalì.
Non era la gamba.
“Oddio! Brutto grandissimo figlio di una Argh! Che maleee!!!”
La conferma venuta dalla voce strozzata del nano lo fece vergognare fin nel profondo.
“Ehm, prova a battere i piedi per terra” provò a consigliare, sentendosi colpevole.
Pessimo tentativo.
“Ma lo sai dove te li puoi ficcare i piedi?!?!? Accidenti a te, brutto...”
Non riuscì a cogliere l’ultima parola, perchè un paio di mani callose gli serrarono bruscamente la testa, tappandogli le orecchie.
“Ma che...” stava per chiedere, ma il grugnito assassino di Doye lo fece tacere.
“Stà zitto, e fammi fare”
La voce di Doye fendeva con decisione il buio che lo circondava, però non seppe dire da dover proveniva con precisione. Turbato, mantenne per sè le proprie domande e, anche se la preoccupazione per Yuna rischiava di farlo scoppiare, fece di tutto per tenerla a bada ancor aun po’.
Per fortuna, non dovette attendere molto. Era passata appena una manciata di secondi che sentì un calore piacevole cominciare a diffondersi dalle mani tozze del nano. Come un’onda confortante, gli lenì la mente e il cuore, per poi concentrarsi sulla zona all’altezza degli occhi e lì affondare e disperdersi. Appena svanì, le mani del nano lo lasciarono e Tidus aprì gli occhi.
Fu quasi con sollevò che accolse la visione della brutta faccia di Doye che lo osservava con un‘espressione imperturbabile. Gli era quasi mancato...molto poco, però.
“Adesso piega la testa in diagonale e schiva verso destra” disse il nano.
”Eh?”
Istintivamente, Tidus obbedì. Un paio di artigli solcarono il punto in cui si trovava la sua testa un secondo prima, gli tagliarono una ciocca di capelli e affondarono nella pietra per un palmo, sollevando polvere e frammenti.
Tidus ci mise un po’ a capire la situaizone. Lui de Doye si guardarono, spostarono lo sguardo all’unisono sul mucchio di Shadowgear sbavanti ed urlanti che stava per assalirli, tornarono a guardarsi, poi scapparono veloci come razzi.
“Siamo dentro lo stadio, vero?” chiese, anzi gridò Tidus, lui e il nano correvano paralleli sulle gradinate con un’orda di Shadowgear alle calcagna.
“Diavolo! E io che pensavo di aver aperto il portale sul club di golf!” rispose di rimando Doye, dribblando un mucchio di pietre cadute.
Tidus gettò una rapida occhiata tutt’attorno. All’inizio il fumo e le condizioni disastrate gli avevano fatto pensare di trovarsi in qualche altro posto, ma adesso che lo vedeva meglio quello era proprio lo stadio di Luka.
Non poteva credere ai suoi occhi. Il luogo in cui le persone di tutta Spira si riunivano per divertirsi, testimone delle più importanti manifestazioni, sembrava un campo di battaglia. Polvere e fumo ammorbavano l’aria, mentre le urla degli spettatori in fuga si mischiavano ai ruggiti e ai sibili degli Shadowgear. Le creature oscure mietevano vittime con una brutalità spaventosa, uccidendo e dilaniando senza distinzioni uomini, donne o bambini e chiunque fosse cosi sfortunato da cadere loro preda. Alcune guardie tentavano di opporre resistenza, ma erano poche e deboli, e venivano sopraffatte rapidamente dalla furia degli invasori.
Al vedere quella scena, Tidus si morse il labbro.
“Ti fanno incazzare, vero?”
Le parole di Doye lo presero alla sprovvista. Si voltò a guardarlo e rimase sconvolto da ciò che vide. Un ghigno feroce si allargava sul volto del nano e uno strano luccichio gli brillava negli occhi, donandogli un inquietante sfumatura cremisi.
Tidus deglutì, avvertendo una stretta al cuore nel guardarlo. La rabbia e il timore gli impedirono di parlare, cosi si limitò ad annuire.
“Già, anche a me...” continuò Doye. La sua mano scattò ad afferrare uno dei sassi caduti dalle tribune soprastanti, prima che si voltasse verso l’ondata di Shadowgear avanzanti.
“Mi hanno proprio stufato questi mostriciattoli!!!!”
Colto di sorpresa da quel improvviso mutamento, Tidus inciampò nel tentativo di fermarsi a sua volta e cadde. Una fitta di dolore gli dardeggiò lungo il braccio quando picchiò contro uno spigolo dei grossi gradini della tribuna, ma quasi non vi fece caso, assorbito dalla scena che gli si presentava di fronte.
Doye fronteggiava da solo la massa di Shadowgear avanzante. Senza smettere di sorridere, sollevò il sasso e vi picchiò le nocche sopra. Immediatamente, sulla superficie liscia della pietra comparve un simbolo, lo stesso, notò Tidus con stupore, che aveva fatto esplodere il molo.
“Avete sentito, mostricciattoli?” gridò Doye, sollevando il pugno verso gli Shadowgear che stavano per avventarsi su di lui. “Mi avete proprio stufato!!” gridò ancora più forte, e scagli la sua amra improvvisata.
La pietra schizzò in avanti come un proiettile. La luce emanata dal simbolo aumentò man mano che avanzava e quando colpì in fronte lo Shadowgear di fronte agli altri era abbagliante.
Un esplosione violentissima spazzò la tribuna. La conflagrazione spazzò via le creature oscure come fossero coriandoli. Alcuni volarono giù dalla gradinata e si schiantarono al suolo, centinaia di metri più in basso, altri strillarono e caddero, reggendosi monconi di braccia e gambe, ma la maggior parte venne semplicemente spazzata via e si disintegrò in un coro di strepiti di dolore e sbuffi di fumo nero.
L’onda d’urto colpì Tidus con la forza di uno schiaffo. Digrignando i denti, si riparò con le braccia dall’impetuosità del vento e afferrò nel contempo il bordo della scalinata per evitare di essere sbalzato via.
A pochi metri di stanza, Doye si era piegato su un ginocchio per resistere, la barba e i vestiti troppo larghi che gli frustavano addosso come serpenti impazziti. Il suo ghigno non era scomparso e Tidus si ritrovò a chiedersi se in quel momento fossero più pericolosi gli Shadowgear o il nano..
Non ebbe il tempo di rispondersi, perchè appena tornata la calma, decine di ombre nero pece strisciarono giù dai muri, mentre altre risalivano dalle gradinate inferiori ed altre ancora spuntavano dalle crepe nella pietra. Era una vera e propria invasione oscura, e una dopo l’altra cominciarono a contrarsi verso l’alto, come se qualcosa spingesse da sotto per uscire, qualcosa che si concretizzò come altrettanti Shadowgear che emergevano alla luce.
Tidus osservava con un misto di emozioni contrastanti. Era uno spettacolo incredibile, terribile, eppure anche affascinante in quanto spezzava ogni logica ed ogni legge.
Innaturale.
“Ehi, moccioso!” gridò Doye, strappandolo dalla trance in cui era caduto. Sollevò lo sguardo verso di lui e notò che sembrava combattuto. “Mi faccio schifo da solo a dirlo...ma ...li trattengo io! Tu vai dalla tua ragazza!” gridò, mentre la gradinata tornava a brulicare di Shadowgear, e continuavano ad aggiungersene sempre di più.
Il cuore di Tidus ebbe un sobbalzo. Il trepestio formicolante degli Shadowgear, l’agitarsi dei loro arti e lo schioccare delle mandibole li rendevano spaventosi solo a guardarli, figuriamoci affrontarli.
“Aspetta, Doye! Non puoi affrontarli da solo!”
Il nano emise un verso di disprezzo.
“Puah! Non provare a dirmi quello che devo fare, mocciosetto! Queste mezze calzette me le mangio quattro a quattro quando sono arrabbiato!”
Uno Shadowgear ballò fuori dalla massa dei suoi consimili per lanciarsi su Doye, la mascella abnormemente spalancata a mostrare una spaventosa chiostra di denti.
Senza scomporsi, il nano schivò il morso con un saltello laterale e, nel momento in cui lo sorpassava, picchiò il palmo aperto sulla schiena della creatura oscura.
Il simbolo esplosivo apparve sullo Shadowgear, che cominciò a dimenarsi nel tentativo di staccarselo di dosso.
Inutilmente. Tidus lo vide esplodere appena pochi secondi dopo in una vampa rossa e svanire, consumato dal calore, in una pioggerellina di cenere nera che cadde sulla pietra, prima che un piede la calpestasse seccamente.
“E ADESSO SONO ARRABBIATO COME UNA IENA!!”
Doye spalancò le braccia e gridò in faccia agli Shadowgear, che, ammoniti dalla fine del loro compagno, indietreggiarono.
“Cosa te ne stai a fare ancora là come uno stoccafisso? Muoviti!” ordinò Doye furibondo.
Tidus, rimasto imbambolato a guardare, si riscosse e si morse il labbro, combattuto.
Se lasciava solo Doye contro quell’armata di mostri, c’era il rischio che facesse una brutta fine, ma se non lo faceva, allora Yuna...
La voce furiosa di Doye si insinuò nei suo dubbi.
“Dannazione! Vuoi muoverti o no?” gridò il nano, saltando per schivare gli artigli di un altro Shadowgear. Ricadde sul gradino superiore, mentre le creature oscure gli si avvicinavano, insidiandolo da tre lati.
“Doye...” mormorò Tidus. Si odiò per quello che stava per fare, ma non aveva altra scelta.
Il palco fluttuante al centro dello stadio, da dove Yuna teneva il concerto, brulicava di Shadowgear e, anche se il fumo che saliva dal macchinario inferiore a forma di robot batterista oscurava la visuale, si sentivano lampi e schianti fragorosi che non lasciavano presagire nulla di buono.
Tidus era preoccupato oltre ogni limite.
“Doye...“ ripetè. “Non morire, mi hai capito? Non morire!”
Il nano respinse uno Shadowgear con un calcio troppo audace, prima di rispondergli con un ghigno.
“Te l’ho detto, moccioso! Non devi dirmi quello che devo fare! E comunque non sprecare il fiato, io non muoio neanche se mi uccidono!”
Con l’ombra di un sorriso per quell’ennesima spacconata, Tidus corse via. Sentiva riecheggiare dietro di sè le sfide e e parolacce che Doye lanciava agli Shadowgear, ma si costrinse a proseguire.
Yuna aveva bisogno di aiuto.
Un lampo di determinazione gli illuminò gli occhi azzurri, mentre attraversava rapidamente la tribuna.
Il percorso, poco prima liscio e perfettamente agibile, era invaso dalle macerie e dalla polvere.
Per sua fortuna, Tidus si venne venire in aiuto il proprio allenamento da Blitzballer. Saltare blocchi di pietra caduti, aggirare fiamme che si protendevano verso l’alto con fitti tentacoli di fiamma e superare barriere di fumo era nulla per chi era abituato ad immergersi fin nelle profondità nell’oceano e a resistere contro le pugnalate del gelo intenso e la sofferenza della mancanza d’aria.
Se poi, oltre all’allenamento, quel qualcuno vedeva anche un pericolo la Luce che lo guidava il risultato era la determinazione più resistente del ferro.
Tidus emerse ricoperto di polvere e ansimante dal caos scatenato dagli Shadowgear e si gettò precipitosamente per la scalinata che lo avrebbe portato ai passaggi inferiori da cui si accedeva allo stadio.
Non incontrò nessuno.
Probabilmente tutti gli occupanti delle tribune superiori erano fuggiti....oppure erano morti.
Tidus serrò i denti dalla rabbia.
Mentre superava la seconda rampa di scale, tre Shadowgears emersero dalle ombre, sibilando, diretti verso l‘uscita.
Senza fermarsi ed approfittando del fatto che non l‘avessero visto, il ragazzo estrasse la spada e spiccò un salto.
“Dannati mostri!” gridò, mentre azzerava la distanza che lo separava dagli oggetti della sua rabbia.
Lo Shadowgear più vicino ebbe appena il tempo di voltarsi prima che il fendente lo tagliasse a metà.
Tidus pose di nuovo piede a terra, nel momento in cui i due tronconi cadevano a terra, prima uno poi l’altro.
Ma ormai l’effetto sorpresa era sfumato.
Gli altri due Shadowgears, infuriati per la fine del loro compagno, sguainarono le zanne e partirono alla carica ad artigli sguainati.
Tidus non stette ad aspettare che lo raggiungessero. Accecato dall’ira, gridò a sua volta e balzò in avanti, facendo roteare la spada in un tondo furente che squarciò il ventre del più veloce dei due avversari. Il ragazzo non fermò il proprio movimento, però, e lasciandosi trascinare dal proprio stesso impeto, roteò su sè stesso e mollò un calcio allo Shadowgear ferito, scagliandolo contro il suo stesso compagno.
Le due creature caddero in un groviglio di arti e soffi irati e non ebbero modo di difendersi dalla spada di Tidus, che li trapassò entrambi ed eruppe dalla parte opposta, piantandosi nel pavimento.
“Maledetti mostri...” sibilò il ragazzo, estraendo l’arma dai corpi che scomparvero subito dopo in migliaia di frammenti oscuri.
La rapidità con cui li aveva eliminati lo sorprese e lo turbò assieme.
Sull’isola riusciva a malapena a vedere i movimenti di quei mostri tanto erano veloci. Per quanto si fosse sforzato fino al limite delle forze, la sua spada non riusciva a colpirli, quasi fossero esseri incorporei impossibili da toccare.
Adesso invece...
Un dolore improvviso lo trafisse.
Crollò in ginocchio, e dovette usare la spada come appoggio per non cadere.
“Ma...cosa...?” chiese a nessuno in particolare. Si scoprì ad ansimare e fradicio di sudore.
Eppure non credeva di essersi stancato tanto.
Una nuova fitta lo assalì, strappandogli un gemito. Stavolta crollò a terra. Un’altra fitta gli trafisse il naso quando cozzò violentemente contro il pavimento, ma non era nulla in confronto al dolore che gli percorreva la testa.
Un bruciore violento e selvaggio gli invase gli occhi e dovette sforzarsi per non urlare.
Tremante, sollevò una mano per toccarsi e sentì qualcosa di viscido scivolargli tra le dita. Aprì gli occhi quel poco che gli permetteva il dolore e vide che si trattava di sangue.
Un’ondata di panico lo travolse al ricordo del tormento che lo aveva colpito poco prima di entrare nello stadio.
Forse dipendeva in qualche modo dal portale creato da Doye?
Non seppe dirlo, e neanche gli interessava.
Appena il dolore diminuì, sbattè entrambi le mani sulla fredda pietra del pavimento e spinse per sollevarsi. Il suo corpo protestò con una serie di fitte violente alla testa, ma si sforzò di ignorarle.
“Yuna...”mormorò tra i denti serrati, combattendo contro la vista che si annebbiava. “Yuna...”
Con grande fatica, riuscì a rimettersi in piedi.
“Yuna...”
Riuscì appena a fare un passo in avanti prima che le gambe gli si piegassero rischiando di farlo cadere di nuovo. Fu solo con un colpo di reni dettato più dalla disperazione che per un movimento calcolato che evitò di baciare ancora il pavimento e si accasciò contro la parete, ansimante.
Lì attese, tormentato da fitte improvvise e ridondanti, che il dolore cessasse.
I secondi passarono rapidi, febbrili, cosi veloci da dare quasi l’impressione che il tempo gli si fosse rivoltato contro.
Tidus attese solo quel poco che bastava. Appena la visuale smise appena di traballare, spinse con la parete con mano e guancia insieme e si buttò al centro del corridoio.
Barcollò come un ubriaco ed ebbe un altro capogiro, ma il voler smettere di perdere tempo era più forte di ogni altra cosa.
Con un guizzo di rabbia, strinse i denti e si costrinse a camminare. L’uscita sembrava più lontana che mai, una macchia indistinta che si prendeva gioco di lui e della sua debolezza.
Ogni passo era un’agonia: un tremore bruciante gli si diffondeva su per le gambe e riverberava in lui ogni volta che il la fredda pietra cozzava contro i suoi piedi. Era come se fosse diventato un fantoccio di paglia. Non più di carne ed ossa, sarebbe bastato uno spiffero di vento troppo forte per farlo crollare.
“Yuna...” pronunciò di nuovo.
Mentre avanzava a fatica, vide i ricordi farglisi incontro. Uno dopo l’altro, cominciarono a danzargli di fronte, ognuno una maschera portatrice di un momento diverso.
Rivide sè stesso, il viziato, sciocco giocatore di Blitzball, avvelenato dall’ossessione e l’odio per suo padre e in perenne ricerca dell’approvazione che solo la folla sapeva dargli.
Un sorriso amaro gli si stirò sul viso. Solo adesso capiva quanto era stato patetico.
L’invidia -perchè di questo e solo questo si trattava- lo aveva roso come l’osso di un cane, spingendolo ad affogare la sua frustrazione nell’appoggio che il pubblico gli tributava. Come un buffone si era messo in mostra di fronte a milioni di persone, come un bambino in cerca di un affetto mai ottenuto da un padre troppo irraggiungibile.
Ma ci aveva mai provato?
Aveva mai provato a pensare a Jecht come a qualcuno da invidiare?
Aveva mai pensato a lui come un padre?
Ora ne era sicuro...no, non lo aveva mai fatto.
La dura consapevolezza di quanto si fosse comportato da bambino viziato lo colpì come una stoccata al cuore, ma all’orgoglio ferito si mischiò una sorta di dolce tristezza per averlo finalmente capito.
In fondo, presto o tardi, l’importante era arrivarci, no?
Dopo Zanarkand e le sue luci, rivide il pellegrinaggio attraverso le terre di Spira. Rivide le battaglie, le vittorie, le sconfitte, gli intrighi, tutte le avventure che avevano attraversato in quei pericolosi momenti.
Era un carosello di immagini ed emozioni, ognuna unica ed importantissima nella sua irripetibilità, ognuna un passo che li aveva portati avanti.
Tutti loro. I suoi compagni di viaggio.
Wakka, con la sua testardaggine, la sua fede bigotta e la squadra di Blitzball.
Lulu, con il nero dei suoi abiti e dei suoi rimorsi.
Kimarhi, il gigante silenzioso dal corno spezzato, simbolo dell’infamia del passato e delle promesse per il futuro.
Rikku, bionda, allegra e battagliera Albhed.
Auron, l’orgoglioso guerriero che continuava a lottare anche dopo la morte.
E poi...lei.
Lei cosi bella, lei cosi dolce, preziosa, insostituibile, fondamentale.
Lei, lei, lei...
Il muro venne dilaniato da un esplosione.
Un mostro sbuffante e ruggente emerse con impeto dai detriti agitando un enorme paio di corna. Mosse la testa nera di quà e di là un paio di volte, prima che il suo inquietante sguardo cremisi si posasse sul ragazzo ferito.
A fatica, Tidus si destreggiò tra le maglie del dolore quel poco per riuscire a sollevare di nuovo la spada. Le mani gli tremavano e la visuale gli oscillava di fronte, ma l’immagine di lei lo sosteneva come uno scoglio per un naufrago perso in un mare in tempesta.
Il Taurus mugghiò e raspò a terra con uno degli zoccoli che gli sostituivano le zampe inferiori. Una scintilla elettrica balenò dal contatto con il pavimento nel momento in cui il mostro oscuro si lanciò alla carica a testa bassa, facendo tremare la terra con i suoi passi.
“Yuna...”
Tidus lo attese, la testa vuota di ogni altro pensiero che non fosse lei.
Schivò la carica con un balzo laterale e menò un fendente al fianco del mostro. Il Taurus mugghiò di dolore e sferzò con il pugno verso la testa del ragazzo che l’aveva colpito.
Tidus evitò per un pelo di ritrovarsi con il cranio spaccato saltando all’indietro. Strinse i denti talmente tanto da sentirli stridere quando la pelle coriacea delle nocche gli sfregò con violenza sul petto. Arretrò, una vistosa escoriazione all’altezza del cuore, e il dolore tornò ad invaderlo sottoforma di mille aghi che gli artigliavano il respiro.
Lo scacciò con rabbia.
No, non poteva perdere. Non poteva non rivederla. Non poteva.
Ansimante, si appoggiò su un ginocchio e cercò di concentrarsi sul suo avversario.
Il Taurus, spinto dalla sua stessa carica, aveva proseguito, ma ciò non bastava per una pausa. Infatti, il mostro allargò il braccio e lo affondò nel muro utilizzandolo come freno. Un solco lungo sei metri attraversò l’acciaio della parete prima che riuscisse a fermarsi e con un mugghio rabbioso tornasse alla carica.
Stavolta, Tidus si lanciò alla carica a sua volta.
“Yuna...” mormorò, nell’urlo assetato di sangue dello Shadowgear.
Gridò e spiccò un balzo. Le corna del Taurus gli sfiorarono le ginocchia e graffiarono la pelle, mentre il loro proprietario lo osservava ad occhi spalancati innalzarsi su di lui.
Tidus rispose con uno sguardo furente e menò un colpo dall’alto verso il basso con tutta la forza che aveva. La spada calò verso la testa scoperta del Taurus con tanta forza che avrebbe potuto tranciare l’acciaio. Se l’avesse colpito non gli avrebbe lasciato scampo.
Ma non lo raggiunse.
Il braccio dello Shadowgear scattò e colpì l’arma proprio nel mezzo. La spada si spezzò con uno schianto secco disseminandosi nell’aria in migliaia di frammenti.
Per un istante infinito, Tidus li osservò danzare e fluttuare come petali di un fiore caduto. Una profonda tristezza gli offuscò gli occhi azzurri.
Ogni frammento lo rifletteva in centinaia, migliaia di modi ed angolazioni diversi ed in ognuno di essi rivide tutti gli errori, tutti gli sbagli che aveva commesso, ognuno un immagine di condanna.
Vide, come al rallentatore, scariche azzurrine contorcersi tra le corna del Taurus e scagliarsi contro di lui in una violenta scarica elettrica che lo avvolse completamente. Il dolore lo avvolse ancora, bruciante, completo, ma solo per un istante.
Un vacuo torpore prese il suo posto. Non una sensazione, non un sentimento, non era nulla, niente di niente.
Sentì qualcosa impattargli contro la schiena e pensò che si trattasse del pavimento, ma non ne era certo.
“Yuna...” mormorò con un filo di voce, mentre un filo di sangue gli scendeva sul mento.
La visuale gli si offuscò. Su di sè, vedeva una grande ombra nera e due pozzi di lava che lo osservavano, ma nient’altro.
“E’ la fine?” pensò. “E’ questa la mia fine?”
Ripensò a Doye, da solo contro quei mostri. Un velo di rimpianto si tese sui suoi pensieri.
“Yuna...”
Poi l’ombra calò su di lui.
 
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CAT_IMG Posted on 27/11/2011, 22:32

Saltare, ballare, trallallà!

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Il Cuore di ognuno

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Riaprì gli occhi dopo un tempo che non seppe definire.
Un viso delicato e bellissimo, due iridi di colore diverso, uno smeraldo e uno zaffiro, entrambe afflitte da una luce preoccupata.
Tidus sapeva di esserne la causa e avrebbe voluto prendersi a schiaffi per questo, ma il suo corpo non doveva essere della sua stessa opinione perchè non si mosse.
“Che vergogna” sussurrò il ragazzo con la poca voce che gli restava e una smorfia che voleva essere ironica. “Sono io che avrei dovuto salvarti”
Il sorriso che illuminò il volto di Yuna gli sembrò la cosa più bella del mondo.
“Mi hai fatto spaventare...” la sentì sussurrare dolcemente.
Il non sentire nessun rimprovero, ma solo una profonda preoccupazione, lo intenerì e nel contempo lo fece sprofondare nella vergogna.
L’abbraccio di Yuna arrivò inaspettato e gli strappò il fiato dal petto in una stretta tanto forte quanto confortante.
Sorrise tristemente, assaporando il suo odore ed ascoltando il battito dei loro cuori.
“Scusami...” mormorò.
La felicità per averla ritrovata sana e salva si frammischiavano all’odio che provava per sè stesso per non essere stato all’altezza della situazione. La frustrazione e la consapevolezza di non meritarla, di non essere degno di essere lì, stretto tra le sue braccia, gli strinsero il cuore in una morsa dolorosa.
“Sei uno stupido...”
Le parole di Yuna lo colsero di sorpresa.
“Non devi salvarmi per farmi capire” disse l’ex-evocatrice, stringendolo a sè. “Io so già cosa sono per te e tu sai cosa sei per me”
Tidus sentì gli occhi inumidirsi.
Yuna sciolse l’abbraccio e gli rivolse uno sguardo gentile.
“Finchè continui a cercarmi, non mi servono altre conferme, non trovi?”
Tidus aprì la bocca per parlare, ma un groppo gli serrava la gola e nessuna delle migliaia, milioni di cose che avrebbe voluto dirle fu in grado di uscire.
La certezza di avere di fronte a sè la creatura più bella, comprensiva, - qualsiasi cosa!- era cosi forte da travolgerlo come un‘onda di marea. Lo scuoteva, fin nei più profondi recessi dell’anima, un sentimento cosi forte, potente ed alto da essere impossibile da spiegare.
Yuna lo abbracciò ancora, ponendo fine a tutte le inutili parole che sarebbero seguite. Non era qualcosa che poteva essere detto.
“D-da chi...” balbettò Tidus contro la sua spalla, un velo di lacrime a velargli gli occhi.
Yuna ridacchiò. “Ho incontrato quel nanetto” disse, divertita. “Mi ha detto tutto...” Fece una pausa, Tidus capì che stava cercando le parole. “E’ davvero forte”
Il ragazzo sorrise.
“Lo so” sussurrò. “Però dobbiamo andare ad aiutarlo” Poggiò una mano a terra, ma quando tentò di rialzarsi il ginocchio gli si piegò e ricadde. “Non può farcela da solo” ansimò.
Yuna lo sorresse. “Se vuoi...” cominciò a dire.
“No!” La interruppe. “Devo...devo venire anche io”
Tentò ancora di rialzarsi solo per finire nello stesso modo.
Digrignò i denti per la frustrazione. Si sentiva il corpo rigido come legno per colpa della scarica elettrice che gli aveva lanciato contro quel...
Trasalì. Non aveva abbattuto quel mostro!
“Dove...” cominciò a dire, ma Yuna lo interruppe con un tocco gentile sulla guancia.
“Non preoccuparti” disse la ragazza, stringendolo a sè, lo sguardo basso e velato.
Tidus spostò istintivamente lo sguardo oltre le spalle di lei.
Sgranò gli occhi.
Steso sul pavimento, il corpo senza vita del Taurus andava disintegrandosi in migliaia di frammenti minuscoli. Decine di grossi fori lo crivellavano da capo a piedi, e a Tidus bastò quello per capire in che modo e da chi doveva essere stato abbattuto.
“Ti ha fatto del male?”
Il tono sussurrato di Yuna lo fece rabbrividire e divertire nel contempo.
“Doye non è l’unico forte qui, vero?” Tentò ancora di rialzarsi e stavolta, con l’aiuto premuroso di Yuna, riuscì a reggersi sulle gambe malferme. “Lo sei anche tu, eh?” le sorrise, divertito.
Yuna abbassò lo sguardo, le labbra incurvate leggermente verso l’alto.
“Solo se mi arrabbio”
Tidus non voleva proprio trovarsi nei panni di chi lo avesse fatto.

Gli artigli dello Shadowgear fendettero l’aria.
Doye si abbassò giusto in tempo perchè gli falciassero una manciata di capelli al posto della testa.
“Ehi! Dal parrucchiere ci sono andato ieri, brutto bastardo!” sbottò, per poi scagliarsi contro l’essere oscuro con tutto i suo peso.
Lo Shadowgear ruggì ed arretrò artigliandosi il petto.
Quel momento bastò a Doye per fargli lo sgambetto e fargli perdere definitivamente l’equilibrio.
L’essere oscuro cadde all’indietro e precipitò. Sarebbe svanito nella folla sottostante dei suoi simili se un Taurus non lo avesse afferrato al volo con le mani massicce, per poi rilanciarlo contro il nano assieme ad altri quattro uguali.
Doye imprecò nel vederseli arrivare addosso come proiettili e raccolse una lastra di roccia grande come un piatto staccatasi assieme a metà della gradinata.
“E che cavolo! Se dico che qui non salirete, non-sa-li-re-te!” sillabò, usandola come mazza da baseball e dedicando una sillaba ad ognuno degli Shadowgear che tornava da dove era venuto con la testa fracassata.
Con un gesto rapido, disegnò un altro simbolo esplosivo sulla lastra e la scagliò, centrando in pieno il volto del Taurus, che cadde all‘indietro, dritto nel mucchio dei suoi simili.
Vi scomparve in mezzo, travolto dalla massa, ma la luce che brillava sul pezzo di roccia era visibile come una torcia nel buio.
L’ennesima esplosione squassò le gradinate.
Riparandosi dietro una ringhiera semidistrutta per proteggersi vento sprigionato dal attacco, Doye si tolse il sudore dagli occhi con il dorso della mano.
Si toccò il punto in cui adesso campeggiava una bella ciocca tagliata e fece una smorfia.
“Uff, dovrò mettermi un cappello” borbottò col fiato corto.
Cercando di riprendere fiato, gettò uno sguardo verso il paesaggio sottostante.
La gradinata inferiore a cui si trovava, assieme alle due seguenti, erano invase da un mare brulicante di mostri desiderosi di fargli la pelle. Gli Shadowgears si arrampicavano come uno sciame di cavallette affamate e sembrava non esserci fine al loro numero.
L’unico spazio libero dalla loro presenza, l’ultima gradinata sui Doye stava asserragliato, spiccava come uno scoglio in mezzo a un mare di petrolio.
“Ma che bella situazione” commentò il nano strofinandosi il naso con un ghigno feroce.
Altri Shadowgear stavano prendendo il posto del gruppo che aveva appena carbonizzato, emergendo da ogni pietra ed ogni angolo come ombre. Tra di loro, vi erano anche parecchi energumeni con le corna da toro che mugghiavano come tori e rompevano come scoiattoli, almeno dal punto di vista di Doye, perchè resistevano anche alle sue esplosioni.
“Venite, venite, c‘è abbastanza Doye per tutti” sogghignò il nano, arretrando cautamente.
Combattendo, si era lentamente portato sempre più in alto, fino ad avere il muro dello stadio dietro di sè, e da lì, grazie al vantaggio dell’altezza e al fatto che gli Shadowgears dovevano arrampicarsi per raggiungerlo, aveva opposto resistenza con successo.
Ma quegli stupidi tori erano peggio della gramigna!
Non morivano se non li faceva esplodere almeno due volte e per di più facevano da scudo a quelli più piccoli facendosi usare come scale o lanciandoli come proiettili.
“Diamine, apprezzo il gioco di squadra, ma usatelo in qualche cos‘altro! Il calcio per esempio! E tu stattene di sotto!” sbottò il nano, e, per dar credito ed esempio delle proprie parole, respinse con un calcio uno Shadowgear che aveva cercato di arrampicarsi sul suo baluardo.
Uno dei Taurus cercò di approfittare dell’occasione per colpirlo con una scarica elettrica e fu solo per un colpo di fortuna che Doye riuscì a schivarla saltando all’indietro. La scarica gli si infranse di fronte, lanciando scintille e frammenti in tutte le direzioni.
Il nano ne incassò parecchi sul petto senza vacillare.
“Tutto qua, pivello?” gridò facendo un gestaccio, lo sguardo che vagava oltre la marea di creature oscure che lo assediavano dal basso.
Imprecò. Ce l’avevano fatta quegli storditi degli spettatori a mettersi in salvo finalmente!
Per qualche motivo, gli Shadowgears avevano cominciato a puntarlo man mano che ne abbatteva. Anche quelli già impegnati nella caccia di un fuggitivo o anche sul punto di uccidere una guardia abbattuta lasciavano perdere per venire a cercare di fargli la pelle.
Grazie a questo, parecchie delle persone presenti erano riuscite a mettersi in salvo ed ormai non restava più nessuno sugli spalti dello stadio a parte lui e gli Shadowgears.
“Vi piace il mio dopobarba, eh?” li prese in giro il nano.
Si sentiva il sangue ribollire nelle vene, il cuore battergli nel petto e un brivido di esaltazione solcargli la schiena.
Quella situazione aveva risvegliato dentro di lui una sensazione antica, un fuoco che gli bruciava fin dalle profondità delle viscere, facendolo sentire più vivo che mai.
Rise. Si stava decisamente divertendo.
“D’accordo” pensò. “Vediamo che ne pensate di questo”.
Smise di tentare di respingere gli Shadowgears, uno sforzo inutile per quel che aveva visto fino a quel momento, e si riparò dentro uno dei tanti crateri causati dagli attacchi elettrici dei Taurus e che costellavano la gradinata.
Con un ghigno stampato in volto, afferrò un pezzo di roccia largo abbastanza da potervi stare sopra e vi impresse un simbolo sopra. Il frammento fu avvolto dalla ragnatela di linee e sembrò rattrappirsi, quasi la sua materia fosse attirata versoi il centro.
Il cambiamento era quasi impercettibile, ma Doye sapeva che ora era molto più resistente di prima.
Il nano vi si sedette sopra proprio nel momento in cui decine di Shadowgears si affacciavano oltre il bordo della gradinata.
Li degnò di un largo ghigno.
“Adesso facciamo a chi arriva più in alto” li derise.
E battè il palmo sulla porzione di pavimento accanto a sè. Il simbolo dell’esplosione vi comparve sopra al suo tocco, ma stavolta prese ad allargarsi ed a illuminarsi fino a diventare accecante.
Doye strinse le dita attorno ai bordi del proprio improvvisato mezzo di trasporto e sorrise.
L’intera gradinata venne avvolta dall’esplosione e il nano venne sparato i naria dall’onda d’urto come il proiettile di una catapulta.
“YAUUUUU!!!!” Gridò esaltato, mentre il contraccolpo lo colpiva con la violenza di un maglio e il fragore del vento gli riempiva le orecchie. Vide il pavimento allontanarsi a velocità pazzesca, finchè non si ritrovò ad osservare dall’alto tutto l’interno dello stadio, fermo nella stasi dell’apice del suo balzo temerario.
Si godette il momento di calma con un’espressione critica.
Era sicuro di aver calcolato perfettamente la traiettoria verso cui l’avrebbe spedito l’onda d’urto dell’esplosione, ma adesso che aveva una visuale più chiara capì di aver commesso dei piccoli errori di distanza: il palco centrale, su cui voleva cadere, era una ventina di metri più in là.
Mentre rimuginava su calcoli e traiettorie, la spinta si esaurì e sia lui che la sua pietra cominciarono a cadere sempre più velocemente.
Doye si grattò il mento coperto dalla barba svolazzante, pensoso.
Di quel passo sarebbe caduto nel grosso spazio vuoto che c’era tra quel palco inguardabile e le tribune, andandosi a spiccicare come un vasetto di marmellata in fondo...
Aggrottò la fronte. In fondo a cosa?
Che diavolo c’era là sotto? Ma sopratutto, a che diavolo serviva tutto quello spazio vuoto?
Scosse la testa. Il geometra che aveva progettato quello stadio doveva essere uno psicopatico.
Doveva farsi dire dove viveva...
“Bah” mugugnò, facendo spallucce, il momento dell’impatto che si faceva sempre più vicino.
Mentre aspettava, il ricordo gli volò alla ragazza che aveva incontrato poco prima e tornò con la memoria a ciò che aveva detto e sentito da lei.

“Ehi, ragazzina! Ehi, dico a te!”
L’aveva trovata al centro di un anello di macerie, intenta a fare a pezzi a suon di pallottole mucchi di Shadowgears.
Lei l’aveva guardato come fosse un alieno danzante.
“E’ pericoloso stare qui!” aveva detto. “Scappi, signor...ehm...”
Doye l’aveva liquidata con un cenno della mano.
“Si, sono un nano, lo so, lo so. Apprezzo il signor, ma chiamami Doye, ok?”
Lei aveva annuito con incertezza, lanciando occhiate nervose verso l’orda di Shadowgears avanzante.
Doye aveva compreso i suoi dubbi e li aveva risolti lanciando una manciata di pietre esplosive contro la massa di creature oscure, falciandole come fili d’erba.
“Dì un po’, ragazza” le disse, mentre lei lo guardava a metà tra la stranita e l‘intimorita. “Eri tu quella che faceva il concerto qui, vero? Ti ho visto sulle locandine all’entrata”
Lei annuì, dandogli la risposta che cercava.
“Uff, e che cavolo, non ci speravo più” sospirò, prima di rivolgere un’occhiata in tralice. “E per caso il tuo ragazzo è uno scemotto biondo dall’aria svanita?”
Lei aveva aggrottato le sopracciglia, guardandolo male.
“Scemotto? Tidus non è scemotto e non ha l‘aria svanita”
“Si, si, lo penso anche io” Doye aveva annuito annoiato. “Ma adesso stammi a sentire”
Le aveva raccontato tutto, dall’incontro sull’isola al primo attacco degli Shadowgears. dal loro arrivo a Luka a come erano entrati nello stadio, dalla minaccia degli Shadowgear fino al mistero che aveva portato a quel invasione. Aveva omesso di parlare della ragazza che avevano slavato ,però, non si poteva mai prevedere come avrebbe reagito a certe notizie una ragazza gelosa.
“In sintesi” aveva concluso. “Devi correre da lui”
Con sua grande sorpresa lei aveva scosso la testa, sorridendo.
“Ti ringrazio per i tuoi sforzi, signor Doye, ma non ce ne è bisogno” Aveva sollevato lo sguardo, una calma fiducia riflessa nelle iridi di colore diseguale. “Mi fido di Tidus, non avrà nessun problema a raggiungerci, io devo rimanere qui a coprire la fuga dei civili”
Si era inchinata in un gesto di grande cortesia che Doye aveva trovato snervante.
“Ti ringrazio comunque per l’aiuto che gli hai dato. Grazie”
Doye aveva resistito all’impulso di strapparsi di capelli solo ricacciando indietro gli Shadowgears con altre pietre esplosive.
“Non hai capito” le aveva detto. “Non è questione di può farcela o no, lui non può farcela”
Lei lo aveva guardato seria.
“In che senso?”
Doye si era battuto una manata in fronte ed aveva abbassato lo sguardo a terra.
“Il portale che ho aperto per entrare nello stadio era instabile. Le energie che lo permeavano non hanno avuto effetto su di me perchè ero stato io ad infonderle, ma sul moccioso avranno avuto sicuramente un effetto tremendo. Sarà già tanto se riuscirà a camminare da qui ad una settimana”
Ammettere il proprio fallimento era stato più difficile che affrontare l’orda degli Shadowgears, ma on poteva farsi prendere dall’orgoglio, almeno non in quel momento.
“Capisco...” aveva detto Yuna con una calma innaturale.
“Capisco un corno” Doye aveva sbottato. “Corri da lui e poi tutti e due scappate da questo buco”
“Aspetta, signor Doye, tu cosa farai?”
“Io li farò tutti quanti a pezzi e poi ci si rivedrà fuori per una tazza di tè, ma adesso vai!”
Yuna aveva esitato.
“Vai, ho detto!” le aveva urlato contro.
Un’espressione decisa le si era dipinta in volto.
“Due mie amiche stanno collaborando per far uscire gli spettatori, non dovrai aspettare molto, signor Doye”
In tutta risposta, Doye aveva riso.
“Ancora a preoccuparvi? Sei proprio come quel moccioso tu, lo volete capire che io sono fortissimo? Questi li faccio secchi tutti da solo”
Yuna non aveva risposto, si era inchinata ed era corsa via, lasciandolo solo a combattere contro gli Shadowgears e a maledire il proprio cuore di pastafrolla, nemmeno in grado di spezzare le speranze di un ragazzo innamorato.

“Oh, al diavolo me e questi merda di portali” sbottò, gettando bruscamente da parte tutti quei pensieri inutili.
Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma non si sarebbe perdonato facilmente se quel biondino avesse perso le penne per colpa sua e della sua mancanza di decisione.
Aveva superato da un pezzo le volute di fumo ed ormai il palco era vicinissimo. Ancora pochi secondi e si sarebbe schiantato.
Borbottando tra sè, Doye sollevò un braccio e creò un portale sotto di sè.
Ci si buttò dentro e riapparve con un saltello sul palco, proprio nell’istante in cui la pietra che aveva usato come mezzo andava a conficcarsi nella fronte del grosso robot batterista sottostante.
Ansimando vistosamente, si guardò intorno.
Neanche questo avrebbe mai ammesso, neanche con sè stesso, ma gli scontri di poco prima lo avevano stremato. Probabilmente non avrebbe avuto la forza di sostenerne altri.
Nascosta molto in fondo, accanto all’immagine di un divano morbido e confortante, dietro tonnellate di arroganza e amor proprio, sosteneva la piccola speranza che almeno lì non ci fossero Shadowgear.
Speranza subito delusa dai passi lenti di una delle creature oscure, che emerse dal fumo che avvolgeva metà dello spazio rotondo che formava il palco.
Doye lo guardò con sospetto. Fece qualche passo verso destra, senza staccargli gli occhi di dosso.
Rispetto a tutti quelli che aveva incontrato fino a quel momento, questo gli sembrò in qualche modo...diverso.
A parte il fatto che portava cilindro e monocolo e già di per sè questo era strano. Un’aura di autorità sembrava emanarsi da lui ed una sorta di potere sopito che Doye non riuscì ad identificare con precisione.
Notò che, rispetto ai suoi frenetici simili, lo Shadowgear esibiva uno sguardo calmo e freddo, cosa che lo rendeva cento volte più minaccioso, perchè nascondeva ogni sua possibile intenzione.
Di sicuro, non prometteva nulla di buono.
Muovendosi cautamente e senza mai perderlo di vista, Doye raccolse un sasso grande quanto un pugno, lo impresse del simbolo esplosivo e glielo scagliò contro.
Lo Shadowgear non si mosse dalla traiettoria nè accennò un qualsiasi tentativo di difesa. Semplicemente, strinse gli occhi verso il proiettile, come se cercasse di metterlo a fuoco. Come rispondendo ad un comando, la pietra si fermò a mezz’aria, roteò per un istante su sè stesso e poi si disintegrò silenziosamente.
Doye la vide svanire nel nulla con un’espressione corrucciata.
“Bel trucco” commentò secco, afferrandone un’altra da terra.
Lo Shadowgear si inchinò. “I miei ringraziamenti” disse, rivolgendosi con un tono di perfetta cortesia a chi aveva cercato di farlo saltare in aria.
Doye sogghignò. “Tu sei quello di Besaid...” Non era una domanda. “Pendleton, giusto?”
“Sono onorato che vi ricordiate di me, messer nano”
“Niente assegni stavolta?” lo prese in giro, continuando a muoversi cautamente.
Pendleton sospirò. “Temo che... Il tempo dei giochi sia finito, amico mio” Senza mostrare la minima preoccupazione, lo Shadowgear volse lo sguardo in direzione delle gradinate distrutte. “Ho assistito alle vostre imprese da qui. Davvero impressionante, non c’è che dire, resistere da solo contro tutta la massa dei miei fratelli ed abbatterne anche un gran numero, per giunta”
“Pfui, mi sto solo riscaldando” sputò Doye, ma sapeva bene che il tremore dei suoi movimenti e l’ansimare della sua voce tradiva lo stato in cui si trovava.
Pendleton lo osservò in tralice per un istante, abbastanza da fargli capire che non credeva d una sola delle sue parole, prima di tornare a guardare l’orizzonte.
“Ho notato la tecnica che avete utilizzato per affrontare i miei confratelli, messer nano. Tutti quei simboli luminosi, non ho mai avuto una buona memoria, ma mi è sembrato di riconoscerli”
Doye sbuffò d’impazienza.
“Si, sono Rune, congratulazioni per la scoperta. E lo stile che uso si chiama Arte Runica dell‘Assalto Implacabile, vuoi sapere qualcos’altro?”
“No, non ho particolare interesse riguardo ciò” Benchè fosse stato chiaramente preceduto, il tono della voce di Pendleton non perse una virgola della sua sfumatura neutra. “La cosa che mi lascia più perplesso è che pensavo ci fossero solo due persone in grado di utilizzarle al di fuori di quel pianeta”
Doye sbarrò gli occhi.
“E poichè una di esse non può essere, allora voi dovete essere...”
Una scarica di esplosioni devastò tutta la zona circostante lo Shadowgear. Tutte quelle indirizzate a colpirlo furono deflesse o annullate da qualcosa di invisibile all’occhio umano, ma i crateri che lasciarono quelle esplose ne testimoniarono la potenza rabbiosa.
“Questa vostra reazione mi fa dedurre di aver indovinato” commentò Pendleton. “Siete proprio voi...Doye...”
La mascella stretta fino a farsi scricchiolare i denti, i pugni stretti e luminosi di energia Runica, gli occhi sbarrati e infiammati di pura furia, Doye teneva il braccio teso, fermo nel gesto con cui aveva scagliato dieci pietre in un colpo.
“Stai zitto!” urlò. “Non parlare più...” Fiamme guizzanti gli percorsero la pelle delle braccia, man mano che vi apparivano sopra decine di simboli ognuno diverso dall’altro ed ognuno ribollente di energia.
Tre parole pronunciò il nano, dense di una rabbia spaventosa e belluina.
“O ti uccido”
Pendleton fronteggiò la furia del nano con una calma stoica.
“Capisco...” disse. “Non volete che si venga a sapere la vostra vera identità...rispetterò la vostra decisione”
L’ombra di Pendleton si sollevò, innalzandosi enorme di fronte alla luce di Doye. Prese la forma di uno Shadowgear gigantesco, con una pancia enorme, braccia massicce e gambe larghe e tozze. Una corazza d’argento gli ricopriva spalle e stomaco, inerpicandosi fino ai pugni grandi come massi, dove si arcuava in larghi spuntoni, uno per ogni nocca. Pistoni e meccanismi la costellavano esalando sbuffi di vapore e clangore d’acciaio ad ogni movimento.
Il Ciccio Shadowgear spalancò la mascella di ferro in un ruggito che scosse ogni pietra dello stadio.
“Ora, però. devo distruggervi” disse Pendleton, glaciale.
Al comando della sua voce, il mostro scagliò un pugno a terra e fu come se una valanga di massi si schiantasse al suolo.
Doye fu colpito dall’onda d’urto e sbalzato a metri di distanza. Rotolò per attutire la caduta e si fermò in ginocchio, volgendosi di nuovo verso il suo nuovo, mastodontico avversario.
“Vi distruggo, bastardi!”
Mentre il Ciccio tornava a sollevare il braccio, il nano si scagliò in avanti con un furibondo grido di battaglia.
Spinto dalla furia e dalla rabbia, non aveva esitazioni nel lasciarsi avvolgere dalla frenesia dello scontro, sopratutto perchè era convinto che ormai il biondino e la ragazza dovevano essersi messi in salvo.
Non sapeva che entrambi si stavano affrettando verso il palco attraverso un passaggio sotterraneo. Troppo coraggiosi per lasciarlo da solo, si affrettavano verso la battaglia in cui avrebbero trovato il loro destino.
 
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CAT_IMG Posted on 28/11/2011, 12:06

Dio dell'Het, del Crossover, della Frutta di Bosco e del Sadomaso (gusti variegati, eh?)

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Carino e tenero, ma ancora divertente.
Bravo congilietto.
 
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30 replies since 21/9/2011, 00:39   248 views
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