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Un nuovo nemico

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Panchito
CAT_IMG Posted on 9/1/2010, 18:00




PROLOGO
Era una mattina come tante al Villaggio della Foglia. La primavera stava per arrivare con il suo carico di rinnovata vitalità e come a conferma di questo gli alberi erano già carichi di timide gemme pronte a sbocciare, l’erba rinverdiva e l’aria si faceva man mano sempre più calda, rendendo il gelo del brusco inverno solo un lontano e, per niente rimpianto, ricordo.
L’enorme portone che interrompeva le altrettanto enormi mura difensive del villaggio era spalancato, permettendo cosi a qualunque viaggiatore di entrare liberamente a patto di non aver intenzioni ostili.
In una piccola postazione ai lati del cancello, due ninja, mai di livello inferiore al Chunin, sorvegliavano costantemente la strada, controllando qualunque visitatore sospetto, e pronti ad allertare il resto del villaggio nei casi di emergenza.
Si trattava certamente di un compito di grande importanza e infatti soltanto i guerrieri che avevano dato prova di indubbie capacità in battaglia venivano scelti per eseguirlo.
Chiunque fosse ritenuto all’altezza di diventare guardiano del cancello del villaggio sapeva bene di ricevere un grande onore a cui ogni ninja aspirava. Si trattava di un compito di grande responsabilità e immensa importanza di cui andare fieri.
Izumo e Kotetsu, le guardie del cancello di quella mattina, cominciavano a sospettare che la realtà fosse leggermente diversa.
Kotetsu sbadigliò vigorosamente, mettendo bene in mostra tutte le corde vocali.
“ Quanto manca alla fine del turno?” chiese annoiato al suo compagno.
“ Un ora” rispose Izumo, schizzando distrattamente sul retro di un documento, ormai inutilizzabile, una discreta riproduzione dei cinque volti degli Hogake, scolpiti nella montagna che sovrastava il villaggio.
Kotetsu appoggiò il lato della testa sul bancone di legno con un sospiro.
“ Che noia” disse distrutto “ Oggi non passa nessuno, a che serve stare qui?”
Izumo osservò critico il naso del terzo Hogake e lo modificò, arrotondandolo un poco:
“ Sorvegliare le porte del villaggio è un compito fondamentale e dobbiamo essere onorati di questo” disse con voce stentorea, quasi come una cantilena ripetuta fino alla nausea.
“ E’ la stessa cosa che ha detto Tsunade, quando ci ha assegnato l’incarico” fece notare Kotetsu.
“ Se te lo ricordi, allora ricordati pure quello che ha fatto a quei due che avevano abbandonato il posto per andare a comprarsi un tè” disse Izumo, finendo di disegnare i capelli del Primo Hogake.
Kotetsu rabbrividì. Ci aveva messo due settimane per riuscire a non avere incubi, dopo aver visto delle condizioni pietose delle vittime della furia del Quinto Hogake .
Davvero non voleva finire come loro.
Stava per rassegnarsi ad aspettare, quando un rumore di passi attirò la sua attenzione e quella di Izumo. Entrambi rimasero in ascolto qualche istante, mentre il suono si faceva via via più forte, come se qualcuno si stesse avvicinando.
Kotetsu si affacciò per vedere di chi si trattasse, ma la strada era deserta.
Non fece i tempo a chiedersi cosa stesse succedendo che una figura umana apparve proprio nel punto dove stava guardando.
L’uomo, se di questo si trattava, era vestito in modo estremamente semplice. Un mantello grigio svolazzante copriva le sue fattezze, lasciando scoperto solo il braccio destro e le gambe fino a metà dei polpacci. Sulla testa calcava un largo cappello di paglia che gli copriva completamente il volto, rendendolo irriconoscibile.
Nella mano libera, l’uomo stringeva un lungo bastone nero che terminava in una curva nodosa e appesa a questa una coppia di campanelli che suonava ad ogni passo, rendendo la sua camminata quasi ipnotica.
Lo straniero si fermo sulla soglia del portone e fece scorrere lo sguardo sul panorama che gli si parava davanti.
“ E’ bello essere di nuovo a casa” mormorò con un sorriso beffardo. La sua voce era lenta e calma, eppure carica di soddisfazione, la voce di chi ha finalmente ottenuto ciò che cercava. Si voltò appena verso Izumo e Kotetsu che lo osservavano stupefatti.
“ Voi non mi avete visto, chiaro?” ordinò burbero e senza aggiungere nient’altro varcò il portone, svanendo all‘interno.
Kotetsu battè le palpebre un paio di volte e si strofinò gli occhi. Si rivolse al suo amico.
“ L’hai visto anche tu?” chiese ancora turbato.
Izumo gli lanciò uno sguardo perplesso.
“ Di che stai parlando? Non è passato nessuno”
Kotetsu si grattò la nuca. Improvvisamente non si ricordava più di cosa stava parlando. Si spremette le meningi per ricordare qualcosa che sapeva essere veramente, ma non gli venne in mente nulla.
Gettò uno sguardo verso la strada principale che portava all’interno del villaggio.
“ Deve essere il caldo” si disse e con uno sbadiglio tornò ad aspettare con impazienza la fine del suo turno.

Nel frattempo tre Jonin camminava lungo una delle tante strade che attraversavano il villaggio, diretti all’Ufficio dell’Hogake a seguito di un improvvisa comunicazione.
“ Cosa vorrà la vecchia Tsunade cosi d‘improvviso?” chiese un uomo biondo con una lunga treccia dietro la nuca.
“ Magari ha finito il saké e vuole che andiamo a ricomprarglielo” scherzò il secondo, un uomo molto grasso e dalla lunga capigliatura rossa che praticamente sovrastava gli altri due dal petto in su.
“ O magari le serve qualcuno da mettere a compilare scartoffie” ipotizzò scherzosamente l’uomo biondo.
L’energumeno scoppiò in una risata tonante, mettendosi una mano sul pancione per contenere le risate.
“ E tu che ne pensi, Shikaku?” chiese l’uomo biondo.
L’uomo chiamato Shikaku si riscosse dai suoi pensieri. Portava una corta barbetta sul mento e i capelli messi in modo da assomigliare vagamente ad un ananas
“ Eh? Ecco… veramente non ne ho proprio idea, Inoichi”
Capendo che non aveva sentito nulla di quello ch avevano detto, Inoichi inarcò un sopracciglio:
“ Che ti prende? E’ da quando che ci siamo incontrati che sembri avere la testa tra le nuvole”
L’uomo grasso li interruppe, riempiendo di nuovo l‘aria con la sua risata fragorosa.
“ Ormai dovresti conoscere Shikaku, Inoichi, lui è sempre con la testa tra le nuvole”
“ Solitamente ti avrei dato ragione, Chouza, ” ribattè l’uomo biondo, scuotendo la testa “ Ma stavolta è diverso, Shikaku è preoccupato per qualcosa”
L’interpellato rise, divertito “ Non ti si può nascondere proprio nulla, eh?”
“ Certo, sono uno Yamanaka in fondo” si vantò Inoichi, gonfiando il petto.
“ Già, impiccione come tutti quelli della tua famiglia” lo prese in giro Shikaku.
Inoichi si alterò. Anche se non sembrava aveva un senso dell’onore estremamente sviluppato.
“ Brutto….”
Fortunatamente Chouza lo bloccò tra le sue enormi braccia, prima che potesse fare mosse avventate.
“ Buono, buono” disse l’omone, mentre il suo amico di vecchia data cercava di liberarsi, agitando furioso le braccia e strillando come un ossesso. Si rivolse a Shikaku “ Allora cosa ti preoccupa? Non sarà un altra scusa per non andare?“ insinuò.
“ Niente affatto, è solo che…” Shikaku cercò le parole adatte “ E’ questa missione, non era mai successo che Tsunade ci convocasse cosi d’urgenza e come posso dire…Ho davvero un brutto presentimento” concluse alla fine.
Chouza lo guardò perplesso, anche Inoichi si era calmato. Shikaku non aveva mai espresso dubbi su una missione, era un genio, senza dubbio, faceva obiezioni su obiezioni, ma in tanti anni non lo avevano mai visto cosi allarmato. Stava per dire qualcosa, quando sentì una voce:
“ Scusate, gentili signori”
Tutti e tre si voltarono nella direzione della voce e videro che a parlare era stato un uomo con il volto completamente coperto da un grosso cappello di paglia in testa e un bastone in mano.
Shikaku si chiese come avesse fatto a non sentirlo arrivare, ma rispose ugualmente:
“ Cosa vuole?” Per qualche motivo parlò con più sgarbatezza di quanto avesse voluto, quel uomo gli ispirava una brutta sensazione.
“ Oh, una semplice informazione” disse quello, il suo tono di voce era gentile. Anche troppo.
“ Vorrei solo sapere dove posso trovare Villa Hyuga”
Shikaku si impose di non sussultare. Villa Hyuga era una tenuta enorme che si trovava nel centro di Konoha in cui abitava il Clan più antico, rispettato e potente del Villaggio “
“ E cosa la porta da quegli scorbutici degli Hyuga?” chiese Inoichi con un fare insolitamente cortese che sorprese Shikaku.
I campanelli che pendevano dal bastone dell’uomo misterioso, suonarono, emettendo un rintocco sinistro.
“ La mia intenzione è di rapire la primogenita di Hyashi Hyuga”
Calò un istante di silenzio, mentre i tre jonin assorbivano quelle parole.
Inoichi e Chouza scoppiarono a ridere fragorosamente, seguiti dal basso ridacchiare dell’uomo nascosto. Solo Shikaku non ci trovava niente di divertente, anzi trovava inquietante tutta quella situazione.
“ Ahahahah, che battuta” riuscì a dire Chouza tra le lacrime “ Lei è proprio una sagoma”
Senza smettere di ridere, Inoichi indicò la strada dietro di sé “ Per Villa Hyuga deve proseguire per questa strada fino alla fine e poi svoltare a destra, ahahahaha, che ridere”
L’uomo mascherato ringraziò, abbassandosi un poco l’ampio cappello.
“ Vi ringrazio, e ora se volete scusarmi”
Con tranquillità sorpassò Chouza e Inoichi che ancora ridevano, ma si ritrovò la strada sbarrata da Shikaku che lo guardava freddamente.
“ Non so chi tu sia, ma…” le parole morirono in gola al Jonin, appena lo sguardo dell’uomo mascherato si posò su di lui. Per un istante vide un occhio nero come la pece scrutarlo minaccioso e leggere nelle profondità della sua anima come un libro aperto. Sotto quello sguardo che di umano aveva ben poco si sentì come un piccolo insetto pronto per essere schiacciato.
La sua forza di volontà si spezzò e senza sapere il perché, si fece da parte per lasciar passare l’uomo misterioso.
Lo straniero continuò lungo la sua strada, lasciandosi dietro quei tre Jonin che ripresero tranquillamente a parlare, senza più ricordo del suo arrivo.
“ Stupidi, patetici esseri umani” mormorò l‘uomo, prima di sparire nella polvere del primo pomeriggio.
Un tintinnio sinistro risuonò nell’aria, perdendosi nel cielo splendente di inizio primavera.

Un ragazzo correva a perdifiato lungo la strada assolata, sollevando dietro di sé una nube di polvere. I suoi capelli biondi sfavillavano sotto la luce del sole dando quasi l’impressione di brillare di luce propria, mentre i suoi occhi erano di un azzurro profondo e limpido.
“ Aspetta, Sakura-chan” gridò il ragazzo, agitando un braccio.
Sakura, la ragazza in questione, si fermò per voltarsi verso chi la stava chiamando. Era senza dubbio una bella ragazza, fisico longilineo, gambe snelle e luminosi occhi verde smeraldo. La capigliatura rosa era buffa, ma dava un tocco di delicatezza alla sua figura.
Sakura era sicuramente uno dei ninja più promettenti del villaggio e infatti, a dispetto del suo fisico slanciato, aveva una forza enorme e era anche parecchio suscettibile. Fin dall‘accademia, lei e Naruto facevano parte della stessa squadra. Avevano vissuto molte avventure insieme e sotto sotto il biondino aveva anche una cotta per lei, anche se non aveva mai trovato il coraggio di dichiararsi.
Ultimamente, però, non avevano potuto passare molto tempo insieme per via dei numerosi impegni di Sakura che era diventata uno dei collaboratori più stretti del Quinto Hogake, o della “Maestra Tsunade” come la chiamava lei.
“ Ciao, Naruto” disse Sakura sorridendo, appena Naruto le si fermò davanti.
“ Ma sei sorda?” ansimò il biondo, piegato sulle ginocchia nel tentativo di recuperare fiato “ E’ una vita che ti sto chiamando”
“ Scusami, ero soprappensiero” si scusò la Kunoichi.
L’uno accanto all’altro i due ninja si incamminarono lungo la strada deserta.
“ Che fai in giro a quest’ora?” chiese Sakura ad un certo punto “ Non avevi una missione con Sai e il maestro Kakashi?”
Si riferiva rispettivamente a un loro bizzarro coetaneo e al loro maestro. Due soggetti unici.
Naruto sbuffò “ Il maestro è caduto in un pozzo, mentre leggeva i suoi stupidi libri e Sai è finito all’ospedale, dopo che è entrato in bagno femminile per fare amicizia, ho detto che avrei potuto completare la missione pure da solo, ma non mi hanno dato retta e hanno assegnato la missione a un altro Team”
Sakura ridacchiò. Ormai era abituata alle stravaganze dei membri del suo Team e non si stupiva più di nulla.
“ E tu, Sakura-chan? Dove stai andando?” chiese Naruto a sua volta e il sorriso sparì dal volto di Sakura per lasciare il posto ad un espressione rassegnata.
“ Shizune è impegnata con una missione e cosi tocca a me far lavorare la Maestra Tsunade”
Fu il turno di Naruto di ridacchiare. In effetti non si poteva dire che il Quinto Hokage fosse un modello di efficienza. Solo la presenza della sua segretaria la frenava dal buttare all’aria tutte le scartoffie e ubriacarsi fino allo svenimento con le bottigliette di saké che teneva nascoste nei cassetti della scrivania. Figurarsi nei momenti in cui Shizune era assente, allora Tsunade scappava letteralmente dal suo posto di lavoro per andarsi a giocare tutto lo stipendio nel più vicino casinò e quando anche quello finiva, la donna cominciava a riempire le tasche degli allibratori anche con i soldi del villaggio.
Gli anziani l’avevano avvertita, minacciata, supplicata, ma niente, lei continuava imperterrita nelle sue libertine abitudini. Lo ripeteva sempre “L’avevano voluta come Hogake e adesso se la tenevano cosi com’era” e dato che nessuno riusciva a farle cambiare idea, si era ormai diffusa l‘idea che l‘unico modo fosse sopportarla e tirare avanti.
“ Uffa, dovrò starci tutto il giorno” Sbuffò Sakura a testa bassa.
Naruto aggrottò la fronte nel vederla cosi abbattuta. Doveva fare qualcosa per tirarla su di morale. Gli balenò in mente un idea per prendere due piccioni con una fava.
“ Ehi, Sakura-chan,” La ragazza lo guardò interrogativa “ Se non ti va, allora perché facciamo una gita fuori Konoha? Ci portiamo qualcosa da mangiare e per un giorno buttiamo via tutti gli impegni, che ne dici?”
“ Non saprei” disse Sakura insicura. Le sarebbe piaciuto, solo lasciare Tsunade sola poteva avere catastrofiche conseguenze.
“ Eddai, tu lavori sempre cosi tanto, che male può fare se ti prendi un giorno di riposo? Per favooore!” insisté Naruto, facendogli gli occhioni dolci.
Per un attimo Sakura si fece intenerire, ma subito dopo il suo senso di responsabilità la richiamò al dovere.
“ No, Naruto, mi dispiace, ma oggi proprio non posso assentarmi” disse decisa e dal suo tono si capiva che non ammetteva repliche.
Naruto capì che era inutile insistere. Sapeva bene quanto il lavoro di Sakura fosse importante, ma sentirsi messo cosi da parte lo ferì profondamente.
“ Vabbè, non fa niente, andrò a farmi un ramen da Ichiraku” disse deluso. Stava per voltarsi e andarsene, quando la voce di Sakura lo richiamò.
“ Domani si potrebbe fare”
Il viso di Naruto si illuminò, aveva davvero sentito bene o era un miraggio acustico?
“ Davvero?” chiese quasi incredulo.
Il dolce sorriso di Sakura spezzò i suoi dubbi.
“ Perché no?” disse la ragazza. Imitò la voce del suo amico “ Dopo tanto lavoro ci vuole una vacanza”
Se non avesse fatto la figura dell’idiota, Naruto si sarebbe messo a gridare di gioia.
“ Vado a preparare tutto” disse, contenendo a stento la contentezza, e dopo aver salutato l’amica corse via con un gran sorriso stampato in viso, lasciandosi dietro una nuvola di polvere.
Sakura lo seguì con lo sguardo e il sorriso sulle labbra, finchè non sparì dietro l’angolo. Stava per incamminarsi di nuovo, quando un suono attirò la sua attenzione.
Si voltò per cercarne la provenienza, ma vide solo la strada deserta che terminava bruscamente in un angolo. A parte lei non c’era nessuno.
“ Che strano” pensò “ Sembrava proprio un singhiozzo” Gettò un ultimo sguardo verso l’angolo e scosse la testa “ Devo essermelo immaginato” concluse alla fine e, capendo di essere in ritardo, si mise a correre verso il palazzo dell’Hokage, dove l’aspettava la sua dura giornata lavorativa.
Se non avesse avuto cosi tanta fretta, forse Sakura si sarebbe accorta della ragazza che aveva ascoltato, nascosta timidamente dietro l’angolo, tutta la sua discussione con Naruto. La stessa ragazza che, non riuscendo a trattenersi dal singhiozzare, si era quasi fatta scoprire e che in quel momento stava combattendo con le lacrime.
Quella ragazza si chiamava Hinata Hyuga, Chunin del villaggio della foglia, membro del potentissimo Clan Hyuga e…ragazza tenera e fragile segretamente innamorata di Naruto fin dall’infanzia.
Come diceva il suo cognome Hinata faceva parte del Clan Hyuga, il più prestigioso e influente dell’intero villaggio. Gli Hyuga vantavano un origine antichissima, risalente addirittura a prima della fondazione di Konoha, quando le cinque Grandi Terre non avevano ancora messo a punto il sistema dei Villaggi Ninja.
Ma il Clan non era tenuto cosi in alto conto dalle alte sfere del villaggio solo per il suo antico retaggio, bensì per la straordinaria arte oculare di cui gli Hyuga avevano l’assoluto possesso esclusivo, il Byakugan, che rendeva i loro occhi bianchi come la neve.
Il Byakugan era considerata l’arte oculare più potente in assoluto, perché permetteva di visualizzare il sistema circolatorio del Chackra di qualunque avversario. Questa abilità, unita all’arte marziale degli Hyuga, chiamata Jyuken (= Pugno gentile), che consisteva proprio nel colpire i punti critici del sistema circolatorio, rendeva i membri del Clan degli avversari temibilissimi, in grado di bloccare e manovrare a proprio piacimento il Chackra di qualunque ninja fosse tanto sprovveduto da affrontarli.
Perciò nessuno si stupiva della posizione di rilievo del Clan Hyuga all’interno del villaggio, i loro occhi erano un arma estremamente preziosa e utile e ciò gli permetteva di vivere rispettati e anche un po’ temuti dal resto degli abitanti.
In quel momento Hinata non sembrava rispecchiare affatto la fama di forza e imperturbabilità della sua famiglia.
Cercando di impedire alle lacrime di uscire, la ragazza si appoggiò con la schiena contro il muro e si premette le mani sugli occhi chiusi.
Singhiozzò, mordendosi il labbro. Lunghe scie d’argento percorsero le sue guancia candide a indicare che il suo tentativo era fallito. Singhiozzando di nuovo, la ragazza piegò la testa, lasciando che i suoi lunghi capelli dello stesso colore dell’ebano gli coprissero il volto.
Hinata era segretamente innamorata di Naruto fin dall’infanzia, ma sapeva bene di non avere nesuna possibilità. Come lei era timida e insicura, Naruto era coraggioso e determinato nell’affrontare le difficoltà della vita, come lei era la vergogna del suo Clan, Naruto era un ottimo ninja che lottava strenuamente per ritagliarsi quel posto nel villaggio che gli era sempre stato negato.
Hinata aveva sempre ammirato Naruto, lo aveva ammirato per la sua capacità di sorridere sempre anche di fronte ai problemi più insopportabili e per la sua volontà indomabile.
Per lei Naruto era il traguardo da raggiungere, il faro che le indicava la strada da percorrere. Da sempre lo osservava da lontano, nascosta dietro l’angolo senza mai il coraggio di farsi avanti, accontentandosi di ammirare il suo sorriso che si faceva beffe del mondo in silenzio.
Con il tempo l’ammirazione di Hinata si era trasformato in amore. Il sentimento della ragazza era diventato cosi forte che a un certo punto sveniva solo se Naruto la guardava per troppi secondi. Lo amava con tutta sé stessa e sarebbe stata pronta anche a morire per lui se necessario.
Eppure, nonostante questo, rimaneva sempre lì, nascosta dietro quel angolo a guardarlo da lontano, invisibile ombra che si struggeva per la propria incapacità di fare qualche passo, superare quello stupido angolo che somigliava sempre di più a una barriera invalicabile e dire al ragazzo che aveva rubato tutti i suoi sguardi le tre parole che le scoppiavano nel petto.
Ma ogni volta Hinata si diceva che non era il momento, che non si sentiva pronta. Era arrivata a trovare le scuse più sciocche e impensabili per evitare di incrociare quegli occhi azzurri come il mare. E ogni volta rimaneva nascosta dietro l’angolo, osservando Naruto, ridendo alle sue battute che i suoi amici trovavano sceme, felice che lui fosse felice.
In fondo, si diceva, aveva tanto tempo per parlare con lui.
Ora sapeva quanto si sbagliava.
Aveva visto bene la felicità negli occhi del biondo, quando Sakura aveva accettato la sua proposta, la stessa felicità che aveva sempre sognato di veder nascere per lei.
Mentre le lacrime cadevano una dopo l’altra sul terreno come una rada pioggia, una vocina nella testa le diede dell’egoista. Naruto aveva sempre avuto un debole per Sakura, avrebbe dovuto essere felice per lui, non mettersi a piangere come un egoista.
In fondo, si disse la ragazza, asciugandosi gli occhi con gesti bruschi, era colpa sua che aveva sempre tentennato, era giusto che finisse cosi.
Dopo un ultimo singhiozzo Hinata si raddrizzò, gli occhi lievemente arrossati, e si incamminò verso la casa della sua famiglia. In quel momento aveva voglia solo di chiudersi nella sua camera e sbarrare la porta contro il mondo ostile.
Attraversò strade su strade a passo veloce, mente il ricordo della conversazione che aveva sentito tornava le rimbombava in mente e con esso veniva l’ineluttabile convinzione che se prima aveva avuto anche solo una minima possibilità di farsi notare da Naruto, ora anche quella era svanita. Senza nemmeno accorgersene si ritrovò a correre, come se cosi avesse potuto lasciarsi dietro la tristezza che le attanagliava il cuore e spingeva di nuovo le lacrime a uscire.
Solo quando raggiunse l’entrata di Villa Hyuga osò fermarsi, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. Dopo essersi ricomposta alla meglio attraversò velocemente l’elegante cancello di ingresso che portava inciso sull’architrave di legno levigato e lucido il nome del fondatore del Clan.
Prima di entrare nel giardino della villa, Hinata si impose un andatura più lenta per mostrare una calma che non aveva.
La accolse uno strano silenzio. Il curatissimo giardino in terra fine, decorato da siepi perfettamente potate e al cui centro spiccava un largo tronco che proiettava una rilassante ombra sulla casa, era immerso nel silenzio più assoluto.
Non che la cosa la sorprendesse, a Villa Hyuga il silenzio e la compostezza regnavano in ogni momento della giornata, solo in quel momento le parve tutto eccessivo, quasi innaturale, come se la natura stessa stesse trattenendo il respiro.
I pensieri tristi che la tormentavano scivolarono via, inghiottiti da quel silenzio irreale. Con cautela, Hinata attraversò il giardino, guardandosi attorno con timore, come se qualcuno potesse uscire dalle siepi e aggredirla appena voltate le spalle.
Appena raggiunse il portico di legno che fungeva da entrata, non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. Sollevata, mise un piede sul legno, ma quello scricchiolò sinistramente facendola sobbalzare. Dandosi mentalmente della sbadata si tolse le scarpe e le appoggiò sul terriccio, in quel momento voleva sentire tutto tranne che rumori inquietanti.
Un rumore attirò l’attenzione della ragazza. Si rialzò e tese le orecchi in ascolto.
Dall’interno della casa proveniva uno strano scampanellio, lento e regolare, simile a quello che facevano i campanelli nei templi. Era appena percettibile, ma, grazie alle sue orecchie allenate, Hinata lo sentiva chiaro e nitido.
La ragazza si incamminò con cautela lungo il corridoio deserto e immerso nella penombra, seguendo il suono.
“ Perché non c’è nessuno?” si chiese con una punta di paura. Di solito la villa era piena di domestici sempre indaffarati. Tutto quel silenzio era insolito e la turbava non poco.
Il suono dei campanelli risuonò ancora una volta nell‘aria, scuotendola dai suoi pensieri. Hinata capì che proveniva dalla sala da pranzo, l’ambiente più spazioso della casa e il posto dove suo padre riceveva gli ospiti sia per questioni di politica sia che fossero suoi amici.
Un tenuo chiarore attraversava il pannello chiuso e attraverso esso Hinata vide un ombra, probabilmente un uomo, che, seduta al tavolo, beveva qualcosa da un bicchiere.
Istintivamente la ragazza si mise in posizione da combattimento e attivò il Byakugan. Le vene attorno agli occhi si gonfiarono e un circoletto viola apparve al centro della pupilla, dandole un aspetto furioso.
Hinata cercò di farsi coraggio e di scacciare la brutta sensazione che provava “ Padre?” chiamò timorosa.
L’ombra si mosse, infastidita, si piegò da un lato per un istante, come per bisbigliare qualcosa, e poi tornò a bere come se niente fosse.
Hinata decise che non poteva più aspettare. Camminò verso il pannello e lo aprì di scatto. La scena che le si parò davanti la sconvolse.
Al lato opposto della stanza suo padre giaceva disteso sulla schiena, il petto che si alzava e si abbassava lentamente. Nessuna ferita deturpava il suo corpo, eppure l’uomo sembrava incosciente, i suoi occhi erano aperti e vacui.
“ Benvenuta” disse una voce amichevole.
Hinata si voltò di scatto. Un uomo vestito con una tunica grigia sedeva al posto che occupava abitualmente suo padre, sulle gambe incrociate teneva appoggiato un bastone nodoso e beveva tranquillamente del saké con un piccolo bicchiere che riempiva di tanto in tanto con una bottiglietta appoggiata sul tavolo.
“ Maledetto, cosa hai fatto a mio padre?” Hinata attaccò l’uomo, i palmi carichi di Chackra, ma appena stava per colpirlo venne respinta da una forza invisibile che la mandò a sbattere contro il muro, mozzandole il fiato. La ragazza si accasciò a terra con del sangue che le usciva dalla bocca.
“ Non mi hai posto la domanda giusta” disse l’uomo, bevendo un sorso di saké. “ C-cosa?” ansimò Hinata, rimettendosi a fatica in piedi. Il colpo era stato forte, ma non le aveva lasciato danni gravi.
L’uomo la ignorò “ La domanda esatta non è -Cosa hai fatto a mio padre?- “ Schioccò le dita e, come obbedendo a un comando, il pannello che dava sul giardino si aprì, rivelando decine di uomini e donne accasciati al suolo e nelle stesse condizioni di Hyashi.
Hinata sbarrò gli occhi nel vedere anche sua sorella Hanabi, gli occhi argentei rivolti al cielo.
“ La domanda giusta è - Cosa hai fatto al mio Clan e a tutta la mia famiglia?-” precisò l’uomo con una calma glaciale.
“ Chi sei?” chiese Hinata, arretrando lentamente. Se quel uomo aveva sconfitto da solo tutto il Clan, non aveva nessuna possibilità contro di lui.
“ Il mio nome non ha nessuna importanza, Hinata Hyuga” L’uomo puntò il bastone contro il pavimento e si alzò in piedi. Benchè il largo cappello ne oscurava tutto il volto, Hinata si sentì trapassare dal suo sguardo, come da una fredda lama di ghiaccio. Dovette sforzarsi per non tremare. “ C-cosa vuoi?“ chiese titubante, sperando in una risposta.
“ Ti chiedo solo di dedicarmi un po’ del tuo tempo” rispose l’uomo. Il suo tono era calmo e pacato, ma Hinata sentiva di non potersi fidare, quel uomo le dava una brutta sensazione.
“ L-lascia stare la mia f-famiglia” ordinò, cercando di apparire il più decisa possibile.
L’uomo ridacchiò, amichevole “ La tua voce tradisce la tua volontà” commentò, per poi bere un piccolo sorso dal bicchiere.
Hinata si arrabbiò. Ma la stava prendendo in giro?
Stava per parlare di nuovo, ma l’uomo la interruppe prima che potesse aprire bocca.
“ Che ne dici di venire con me, Hinata Hyuga?” chiese con tranquillità, come se la stesse invitando a prendere un gelato.
“ C-cosa?” Hinata arretrò di un passo. Adesso era veramente spaventata. “E’ uno scherzo?” chiese tremante, sperando con tutta se stessa di aver ragione.
L’uomo vuotò il suo bicchiere e lo posò sul tavolo.
“ Temo proprio di no”
Hinata sentì un fruscio dietro di sé. Una fitta di dolore acutissimo le trapassò la nuca. Tentò di restare in piedi, ma le gambe le si piegarono e cadde a terra, prima che la vista gli si oscurasse del tutto sentì l’uomo misterioso che si rivolgeva al suo assalitore. “ Ottimo lavoro, Neji”
Una terribile consapevolezza si fece strada nella mente di Hinata, poi il buo la avvolse, oscurando ogni cosa..
“ Naruto-kun”

Scusate, ma mi sono sbagliato, questa storia non è crossover e adesso non riesco più a cancellare la prima. Invoco un aiuto superiore.
Su efp sto molto più avanti, perciò aggiornerò una volta al giorno, finchè non mi rimetto in pari.
Leggete e commentate.
Se lo farete, marinai, il vento della fortuna spingerà sempre le vostre vele, yaryaryar.
 
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