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Fullmetal Alchemist Reload: Capitolo 39

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GreenArcherAlchemist
CAT_IMG Posted on 8/3/2012, 17:56




Etciù! Spero che gli sbalzi termici non abbiano giocato brutti scherzi anche a voi...
L'unica cosa che non ne ha risentito è stata la vena scrittoria, visto che altre attività mi erano precluse (attività fisica: no. studio: no. disegno: no, visto che gocciolare sul foglio su cui sto creando non rientra nei miei desideri).
Perciò è con immenso onore e grandissimo piacere che vi do il benvenuto al nuovo capitolo di Hagaren Revolution!
Commenti e opinioni sono molto graditi!

CAPITOLO 39 – Hohenheim Elric
Envy fece un passo avanti e si appoggiò a uno degli speroni di roccia creati da Armstrong.
““Quel che è fatto è fatto”” disse alzando le spalle. ““Devi considerare, però, che non potevamo fidarci completamente dell’esercito, visto chi ne è al comando.””
“Cosa vuoi dire?” chiese Mustang.
Envy strinse le dita intorno allo sperone di roccia e lo frantumò. Uno dopo l’altro, in un bagliore di luce alchemica, anche tutti gli altri spuntoni si sbriciolarono.
““Si dà il caso che sia il Comandante Supremo che la sua Segretaria siano Homunculus”” concluse.
Roy sussultò. Armstrong, alle sue spalle, spalancò gli occhi, così come la Hawkeye e tutti gli altri militari presenti.
“In 400 anni ne ha imparati di trucchi per attirare l’attenzione...” sussurrò Reina, e Al ridacchio sottovoce.
“Quegli esseri stanno cercando la Pietra Filosofale e manovrano il Paese dietro le quinte” intervenne Edward. “Fanno capo a Quella Persona, perciò è lei ad avere in mano le redini: se obbedirete agli ordini di Bradley, farete solo il suo gioco.”
I militari si scambiarono un’occhiata.
“Maggiore Armstrong!”
Tutti si voltarono e videro che i soldati sotto il comando del maggiore erano appena sopraggiunti e osservavano i presenti con aria confusa.
Armstrong si chinò verso Mustang.
“Nessun problema, ci penso io” gli sussurrò. “Creerò una falsa pista che porta ad Aerugo, senza nemmeno passare da Central City.”
“Va bene. Intanto noi andremo a Resembool” rispose Roy. “Ti affido Havoc e Fury, fai in modo che vengano loro prestate le prime cure.”
Armstrong annuì, poi sfoderò i suoi brillini fuxia e un’espressione beata.
“Uomini! Gioite tutti!” esclamò. “La nostra missione è terminata!”
“Maggiore, ma di che cosa stavate parlando poco fa?” chiese uno dei soldati. “E quelli non sono forse i tre pericolosi ricercati che...”
La parte superiore dell’uniforme di Armstrong scomparve inesplicabilmente.
“Ah, avrete sicuramente sentito il dolce suono della mia muscolatura!” esclamò pompando i muscoli. “Andiamo! La pista è ancora calda...”
“Ma maggiore, qelle persone laggiù...”
“Ho detto andiamo! Aerugo ci aspetta!”
I soldati, rassegnati, lo seguirono al campo.
“Bene, con questo dovremmo aver guadagnato un po’ di tempo. Tu, Envy, fai strada” ordinò Mustang.
“Ehi, calma” fece l’Homunculus. “Seguiremo il fiume. Attenti a non caderci dentro.”
Il gruppetto di dispose in fila indiana: Envy davanti, di seguito Mustang, la Hawkeye, Alphonse Reina, Breda, Fallman, Tara e infine Edward, che chiudeva la fila. Ad un tratto il ragazzo si fermò, si mise una mano in tasca e tirò fuori l’orologio d’argento, il simbolo del suo essere un Alchimista di Stato. Non aveva ancora avuto modo di pensarci seriamente, ma ormai quell’orologio per lui non significava più nulla. Fece scattare la molla e aprì lo sportello, quindi rimase a fissare la data incisa all’interno. Incisa nel suo cuore.
“Ed, va tutto bene?”
Edward alzò lo sguardo e incontrò gli occhi scuri di Reina.
“Tutto bene, non preoccuparti” la rassicurò lui, chiudendo lo sportello dell’orologio. “Stavo pensando che quest’orologio non mi serve più. Ora non sono più un cane dell’esercito.”
Senza aggiungere altro staccò la catenella dal passante dei pantaloni, caricò il braccio all’indietro e lanciò l’orologio il più lontano possibile nel fiume. Dopo una manciata di secondi, Reina fece lo stesso.
I due poi allungarono il passo per raggiungere il gruppetto, che ormai era quasi sparito dalla loro vista.

Hohenheim fissò le fotografie appese alla parete di casa Rockbell. Pinako gli aveva appena raccontato a cosa i ragazzi erano andati incontro dopo la sua scomparsa e la morte di Trisha.
“Trasmutazione umana…” mormorò, posando sul tavolo il bicchiere di liquore che aveva in mano. “Perché nessuno li ha rimproverati?”
Pinako sospirò.
“Non erano nelle condizioni di essere rimproverati. E poi sei tu il loro padre, dovresti avere tu questo compito!”
“…Non saprei proprio come farlo” rispose lui dopo alcuni secondi di silenzio.
Pinako sbuffò.
“Avresti potuto chiamare almeno una volta, non credi? Trisha non ha mai smesso di aspettarti.”
Hohenheim finì il proprio bicchiere di liquore e se ne versò un altro.
“Avevo bisogno di far perdere le mie tracce, di nascondermi… Non avrei mai immaginato che…” Non riuscì a finire, le parole gli morirono in gola.
“Nasconderti da chi?” domandò Pinako, ma l’uomo non dette segno di voler rispondere. “Non voglio accusarti, ma se tu fossi rimasto, forse a quei ragazzi non sarebbe mai venuto in mente di ‘costruirsi’ una madre...”
Hohenheim rimase in silenzio per un po’, prima di guardare negli occhi la vecchia amica.
“Pinako, che ne è stato di quel che è venuto fuori dalla trasmutazione?”
Pinako esitò.
“Alphonse ha sigillato il sotterraneo dov’era. Non l’hanno più riaperto fino a quando hanno bruciato la casa, però…”
“Cosa?”
La donna si morse il labbro.
“Il giorno stesso ho voluto vedere di persona cos’era successo... ma la stanza era vuota.” Si interruppe. “Ho visto le macchie di sangue e i resti della trasmutazione, ma della creatura di cui mi avevano accennato non c’era traccia.”
Hohenheim annuì.
“Loro lo sanno?”
“Non credo. Sono convinti di averla bruciata con la casa.”
“E invece era già stata portata via...”
“Ma da chi?! Chi poteva sapere? E soprattutto, chi porterebbe via… quella cosa?!”
Hohenheim scosse la testa e non rispose.

Reina camminava dietro a Tara. Si accorse che la donna teneva lo sguardo basso e sembrava voler stare in disparte rispetto al resto del gruppo, così allungò il passo e le si affiancò.
“Tara...” cominciò.
“Fye è morto, vero?” la interruppe lei. Reina aprì la bocca, ma non riuscì a dire nulla. La Celes scosse la testa. “Capisco. Allora non posso più aspettarlo...” A Reina si strinse il cuore. Stava per dire qualcosa, ma Tara si voltò verso di lei e la fissò, gli occhi azzurri lucidi. “Dimmi, Reina: come si può continuare a vivere senza la persona a te più cara?”
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, sorpresa dalla domanda. Poi il suo sguardo si fece insieme triste e dolce.
“Io vivrei come quella persona avrebbe voluto che io vivessi” rispose. Sfiorò distrattamente lo scettro che portava alla gamba.
Tara la fissò negli occhi ancora qualche istante, poi riprese a guardare avanti a sé.
“Forse hai ragione” mormorò. “Fye non avrebbe voluto che io trascinassi la mia esistenza senza nessuna voglia di vivere. Lui avrebbe voluto che io fossi felice. Non sarà facile senza di lui” aggiunse, la voce che s’incrinava. “Ma ce la farò. Devo vivere anche per lui.”
Reina le sorrise.
““Siamo arrivati a Resembool!”” esclamò Envy, fermandosi di botto.
Era vero: si trovavano in cima ad una collina e sotto di loro c’era la stazione deserta. Il resto dell’esercito non era ancora arrivato. Per precauzione si tennero comunque all’interno dell’area del bosco e si avvicinarono a casa Rockbell senza farsi notare. Arrivati in vista della casa, si appiattirono dietro alcuni cespugli e rimasero a osservare.
Poco dopo la porta si aprì e ne uscì un uomo alto coi capelli biondi. Da quella distanza non si riusciva a capire di chi si trattasse. Solo Envy, nel vederlo, ebbe uno spasmo. L’uomo si sedette sulle scale e fu raggiunto dal cane dei Rockbell, Den. Mentre lo accarezzava alzò lo sguardo verso la macchia di cespugli nella quale era nascosto il gruppetto.
Fu un attimo: Envy balzò in piedi e fece per correre giù verso la casa, ma Breda riuscì ad afferrarlo per un polso e a buttarlo a terra, mentre Fallman, Tara e la Hawkeye intervenivano per dargli una mano a tenerlo fermo.
“Che diavolo succede?!” gli chiese Mustang a mezza voce.
Envy lanciò un’occhiata di fuoco verso l’uomo biondo, che aveva smesso di guardare verso i cespugli e si stava facendo leccare la faccia da Den. I suoi occhi viola con la pupilla verticale tornarono normali.
““Finché quell’uomo è là, non posso venire con voi, o rischierei di ucciderlo”” disse tra i denti.
Reina gli si avvicinò, spaventata e preoccupata insieme.
“Perché? Chi è quell’uomo?” gli chiese.
Envy guardò i fratelli Elric, in particolare Edward, e sputò:
““Hohenheim Elric.””
A sentire quel nome, Edward impallidì.
“Hohenheim? Ma è il nome di nostro padre!” esclamò Al.
Approfittando del fatto che i militari erano occupati a tenere fermo Envy e Al era troppo sorpreso dalla notizia del ritorno del padre, Ed si lanciò fuori dai cespugli, diretto verso casa Rockbell.
“Fratellone!” gridò Al, correndogli immediatamente dietro.
Ma Ed era veloce. In un attimo fu di fronte all’uomo, che non ebbe il tempo di dire o fare nulla perché fu colpito da un potente cazzotto che lo mandò lungo e disteso per terra.
“Ti rifai vivo dopo dieci anni e credi che tutto quello che hai fatto sia stato dimenticato?!” gli gridò, il pugno ancora serrato.
L’uomo si alzò a sedere, massaggiandosi la testa, e non rispose.
In quel momento si spalancò la porta e ne uscì Pinako, seguita da Winry.
“Ma cosa...” mormorò la donna, vedendo quel curioso schieramento di militari davanti all’officina. Poi abbassò lo sguardo e si accorse della presenza di Ed, Al e Hohenheim. “Venite dentro...” sospirò.

“Sei sicuro che dobbiamo lasciarlo fuori, Ed?” chiese Reina.
Pinako e Winry avevano preparato una bella e accogliente tavolata per tutti quelli che erano rimasti, cioé Ed, Al, Reina, Tara, Mustang e la Hawkeye. Gli altri militari erano tornati al campo, Envy era rimasto nella macchia di arbusti a qualche centinaio di metri dalla casa e Hohenheim era stato confinato sulla veranda insieme a Den.
“Assolutamente” rispose deciso il ragazzo. “Quell’uomo se n’é andato subito dopo la nascita di Al. Nostra madre ci diceva che si era dovuto trasferire in un posto lontano per studiare l’alchimia, ma lui non ci ha mai mandato nemmeno una lettera. E adesso con che faccia si presenta qui come se nulla fosse?”
Hohenheim si alzò da sotto la finestra, da dove stava sentendo tutto, e si sporse all’interno della casa.
“Sono tornato perché ero stanco di mentirvi: voglio raccontarvi tutto ciò che vi ho sempre tenuto nascosto.”
Per tutta risposta, Edward afferrò una pagnotta e gliela scagliò addosso.
“Se è così, perché prima di tutto non ci dici qual é il motivo per cui hai abbandonato la mamma?” gridò.
Non contento, gli scagliò addosso anche una bottiglia e avrebbe fatto lo stesso con la pentola dello stufato se Alphonse non fosse riuscito ad allontanarla dalle sue grinfie.
Hohenheim abbassò lo sguardo.
“Sì, sono scappato come un vigliacco, ma l’ho fatto per salvare Trisha e voi due da chi avrebbe voluto uccidervi.” Edward si bloccò, un mestolo in mano pronto per essere lanciato. “Quando ho visto la luce su Reole, però, ho capito che non potevo più scappare e dovevo tornare indietro. Ho rimandato per troppo tempo questo momento. Ti prego, Ed, ti chiedo solo di ascoltarmi.”
Lentamente, Edward posò il mestolo sul tavolo, poi fece un verso stizzito e indicò con un cenno della testa la sedia che Winry aveva preparato per Hohenheim e che era rimasta vuota.
L’uomo aprì la porta ed entrò, quindi, seppur lievemente impacciato, si sedette e cominciò il suo racconto.
“Molti anni fa, quando ero solo un ragazzo, mi innamorai di una ballerina. Si chiamava Sarah, Sarah Dante.”
“Dante? Conosciamo una signora anziana con questo cognome, ma non puoi parlare di lei, giusto? Potrebbe essere tua madre” intervenne Ed.
Il padre sorrise tristemente.
“Edward, io non sto parlando di eventi recenti, ma di cose successe 400 anni fa.”
Tutti nella stanza sussultarono, a parte Pinako.
“Ma non è possibile! Nessun essere umano può vivere così tanto!” esclamò Reina.
“Hai detto bene: essere umano. Io ormai non lo sono più da molto tempo... dal giorno in cui sono diventato la Pietra Filosofale.”
Di nuovo, l’unica a reagire con pacata rassegnazione fu Pinako.
“E da allora non sei mai cambiato, giusto, vecchio mio?” intervenne infatti la donna. “Da quando ci conosciamo hai sempre avuto lo stesso identico aspetto.”
Lanciò uno sguardo alle fotografie, in particolare a una che ritraeva la donna da giovane. Di fianco a lui c’era un uomo biondo con la barba e gli occhiali che i fratelli Elric avevano sempre creduto fosse il loro nonno, ma si resero conto che in realtà si trattava sempre di Hohenheim coi capelli più corti e sciolti sulle spalle.
“Già. È l’aspetto che avevo quando diventai la Pietra.”
“Tu... sei la Pietra Filosofale?!” esclamò Edward, sbalordito. “Tu?!”
Hohenheim gli rivolse un sorriso triste.
“Sì, Ed. Ora capisci perché sono fuggito?”
“Ma è assurdo, com’é possibile che tu sia la Pietra?!”
“A questo ci arriverò tra poco. Con Sarah decisi di costruirmi una famiglia, e quando lei mi disse di essere incinta ero al colmo della felicità. Chiamammo nostro figlio Matthew. Aveva gli stessi capelli neri e gli occhi blu di sua madre...”
Reina si lasciò sfuggire un gemito.
“Matthew... Elric? Quel Matthew Elric?”
Ed e Al si guardarono, mentre nella mente di entrambi passava lo stesso identico pensiero: Envy era il loro fratellastro!
“Credo che conosciate già la storia del famoso Matthew Elric, Earth Alchemist: una vita breve e intensa. Quando morì, qualcosa dentro Sarah si spezzò. Anch’io ero distrutto, ovviamente, e presi una decisione: avrei tentato la trasmutazione umana.”
++++++
Nel sotterraneo, dove la luce del sole non arrivava, i candelabri erano tutti accesi. Al centro della stanza Hohenheim stava finendo di tracciare un complicato cerchio alchemico pentagonale. Al centro del cerchio aveva posizionato una vasca piena di liquido scuro dove galleggiavano alcuni organi umani.
Tracciato l’ultimo segno, l’uomo si alzò in piedi e contemplò la sua opera. Era il risultato di tutte le sue conoscenze alchemiche. Il suo capolavoro.
“Lo posso fare” disse, mentre un sorriso gli increspava le labbra. “Ce la posso fare” ripeté.
Lanciò lontano il gessetto con cui aveva tracciato il cerchio, batté le mani e le pose al limitare di esso, inginocchiandosi quasi con deferenza. Dal cerchio si sprigionò una morbida luce dorata che si espanse per tutta la stanza e il liquido all’interno della vasca cominciò a ribollire gorgogliando.
Sembrava che stesse andando tutto come previsto, quando improvvisamente la luce diventò viola. Le fiamme dei candelabri tremolarono come scosse da un forte vento e si spensero. La luce oscura si condensò al centro del cerchio, e comparvero delle piccole mani nere che si allungarono verso l’alchimista. Questi cercò di interrompere la trasmutazione, ma il suo corpo era come paralizzato. Le mani lo raggiunsero e gli si avvinghiarono agli abiti, alle braccia, al volto, accecandolo. Un dolore indescrivibile gli attraversò tutto il corpo, e Hohenheim gridò, prima di perdere i sensi.
La luce si spense, le mani nere si ritirarono, e nella stanza cadde un silenzio innaturale.

Hohenheim si svegliò dopo un tempo che poteva essere pochi minuti o alcune ore. Tentò di aprire gli occhi, ma al posto del sinistro era rimasto solo dolore e sangue.
Però aveva
visto.
Un attimo prima era nello scantinato buio, e in quello seguente era davanti a un maestoso portale in uno spazio immenso e luminoso. Il portale era socchiuso, ma cosa c’era dall’altra parte? Non riusciva a ricordare, sapeva solo di aver commesso un errore madornale: i calcoli erano esatti, ma aveva sbagliato nel credere di essere in grado di riportare in vita qualcuno.
Si alzò e si guardò intorno con l’unico occhio che gli era rimasto: tutto era ricoperto da uno strato di polvere, vetri e alambicchi si erano infranti, incluso il vaso che conteneva le Pietre Rosse, che si erano sparse su tutto il pavimento.
La vasca al centro del cerchio era spaccata in due e qualcosa si muoveva al suo interno. Hohenheim fece qualche passo incerto in quella direzione, ma quando fu abbastanza vicino da distinguere di cosa si trattava indietreggiò orripilato. Il risultato della trasmutazione era un ammasso di muscoli, organi e ossa per nulla simile a un essere umano. L’uomo, ansimante, si appoggiò ad una parete e vomitò. Poi uscì velocemente dalla stanza, chiudendo la porta del laboratorio dietro di sé con diversi chiavistelli prima di risalire le scale.
“Hohenheim!” esclamò Sarah, vedendolo in quelle condizioni col sangue raggrumato sul volto. “Cos’é successo?!”
“Ho fallito...” riuscì solamente a rispondere lui. “Ho fallito.”

Ci vollero diverse settimane prima che Hohenheim riuscisse a riprendersi sia dalle ferite fisiche che dallo shock pricologico. Sarah si prendeva cura di lui per quanto poteva, ma le prove a teatro le prendevano molto tempo e durante i periodi di assenza era Talia a occuparsi dell’uomo.
Una sera, mentre gli cambiava la benda che portava sul viso, improvvisamente si fermò.
““Dovrebbe affrontarlo, sa?””
“Cosa?”
““Il frutto della sua trasmutazione.””
Hohenheim scosse la testa.
“Ho fallito. Non è umano... Non è Matthew.”
““No, non lo è, ma è lo stesso tuo figlio.””
Lui la guardò come se la donna avesse perduto il senno.
“È un mostro!”
““È vivo!”” gridò lei, perdendo la calma per la prima volta da quando l’uomo la conosceva. ““Lei lo ha portato alla vita, è suo dovere occuparsene!””
L’uomo la guardò negli occhi, quegli strani occhi viola con la pupilla allungata. Talia Donovan era una persona enigmatica. Persino la sua età era un mistero: il suo viso era maturo, ma privo di rughe, oltre che molto affascinante; i suoi capelli erano ancora neri e lei li portava tagliati a caschetto, come una ragazzina. Quando si era presentata da loro aveva con sé il cadavere di un uomo, il suo fidanzato stando a quello che aveva detto, e aveva chiesto loro di conservarlo con le tecniche alchemiche per le quali gli Elric erano famosi in tutta la città. Non sapeva altro.
La osservò ancora per qualche istante, poi sospirò.
“D’accordo, non fuggirò” disse.

Quella notte, mentre le donne dormivano, Hohenheim tornò nel sotterraneo con un candelabro in mano e un pugnale nell’altra. Lentamente tolse i chiavistelli e aprì la vecchia porta. La stanza era completamente buia, visto che le poche candele che erano rimaste accese si erano ormai consumate. Con cautela avanzò verso il centro del cerchio, ma la creatura era scomparsa. La luce del candelabro illuminò anche una manciata di Pietre Rosse del vaso che si era infranto, e Hohenheim si accorse che tutte le altre erano scomparse.
Un fruscio improvviso fece voltare di scatto l’uomo: qualcosa si era mosso nell’angolo meno illuminato della stanza. Col pugnale stretto in mano avanzò verso quel punto. Quando finalmente la luce raggiunse anche l’angolo buio, Hohenheim sussultò e lasciò andare il pugnale, che cadde con un fragore metallico.
Accucciato nell’angolo, Matthew lo guardava con due strani occhi viola con la pupilla allungata, uguali a quelli di Talia.
++++++

“Mi sbagliavo: quell’essere, nonostante gli somigliasse molto, non era il mio Matthew. La sua personalità era completamente diversa, animalesca e aggressiva, tanto che dopo aver tentato invano di farlo ragionare fui costretto a rinchiuderlo in una vasca di deprivazione sensoriale. Nel frattempo compii diverse ricerche ed esperimenti per capire cosa fosse andato storto. E infine capii: ero riuscito a creare un corpo umano, ma avevo sbagliato la parte della trasmutazione dell’anima. Sapevo già da tempo che l’anima è composta da particelle subatomiche alle quali avevo dato il nome di Heliogene, e che queste sono quindi trasmutabili, ma non avevo pensato di integrare questo dato alla mia formula di trasmutazione umana, che credevo perfetta così com’era. Mi ero limitato a osservare che se questa sostanza veniva separata dal corpo diventava visibile e palpabile, nonché una potentissima fonte di energia alchemica: l’avevamo chiamata Pietra Rossa, perché nella sua forma più stabile assomigliava a cristallo rosso. Tuttavia si trattava di fonti usa e getta, perché bastava una trasmutazione medio-potente per consumare la quantità media di Heliogene contenuta in un corpo umano. L’unico uso decente sembrava quello di creare Homunculus alimentati con le Pietre Rosse e quindi immortali: i loro corpi, infatti, a differenza di quelli completamente umani, assimilavano le Pietre che permettevano loro di rigenerarsi anche dopo aver ricevuto ferite mortali. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che gli Homunculus non hanno un’anima vera e propria, perciò l’Heliogene si legava in modo diverso rispetto ad un essere umano con la sua anima, che infatti muore se ingerisce Pietre Rosse.”
-Heliogene...- rifletté Reina. -Ho già sentito questo nome... Giusto, era su quelle ricerche che stavano insieme al ritratto di Matthew! Che siano stati padre e figlio a fare quella scoperta?-
“Ad ogni modo, decisi di tentare di trasmutare l’anima di mio figlio, sperando che funzionasse anche se era passato del tempo da quando avevo costruito il corpo” proseguì Hohenheim. S’interruppe e sorrise a Edward. “Pinako mi ha raccontato di come hai trasmutato l’anima di tuo fratello. È straordinario, considerando che tu non avevi nessuna nozione di una cosa simile. Sei riuscito comunque a trasmutare quasi perfettamente un’anima in un corpo ad essa estraneo... così come ho fatto io, richiamando l’anima di Matthew e legandola al corpo che avevo creato.”
Edward afferrò di nuovo il mestolo che aveva appoggiato sul tavolo e lo tirò in testa al padre.
“È una cosa disgustosa!” gridò. “Appiccicare a forza un’anima in un corpo vivente!”
“Lo so, e accetto la punizione” rispose l’uomo, lasciando che il figlio lo bombardasse di cibo e vettovaglie.
“Fratellone, smettila!” esclamò alla fine Al, strappandogli di mano un lungo forchettone dall’aria pericolosa. “Continua, papà” aggiunse poi, rivolto al genitore.
L’uomo sospirò.
“Presto mi accorsi che, sebbene la trasmutazione fosse andata a buon fine e l’anima di Matthew si fosse adattata bene al corpo artificiale, la personalità dell’Homunculus era rimasta fortemente dominante. Sarah e Talia, la sua assistente, avevano cominciato a riferirsi all’Homunculus chiamandolo “Envy”, l’invidia, perché l’essere desiderava uccidermi più di ogni altra cosa, come se fosse invidioso della vita umana che lui non conosceva. Il nome Envy gli rimase perciò anche dopo la trasmutazione dell’anima, nei momenti in cui la personalità di Matthew scompariva e mio figlio tentava di aggredirmi. Ancora non capivo cosa fosse andato storto, così m’immersi ancora di più nello studio, lasciando il compito di prendersi cura dell’Homunculus a Sarah e Talia. Una volta Envy riuscì a sfuggire al loro controllo, così Sarah gli sguinzagliò dietro un suo esperimento: un Homunculus da lei creato utilizzando il cadavere del fidanzato di Talia, morto in un incidente e perfettamente conservato grazie alle tecniche alchemiche di Sarah, che però non erano state in grado di mantenere anche i ricordi dell’uomo. Quando rinacque, infatti, gli fu dato il nome di “Greed”, l’avidità, perché era avido di tutto ciò che non possedeva, inclusi quei ricordi perduti.”
“Greed!” esclamò Alphonse. “L’abbiamo incontrato, vero fratellone?”
“È ancora vivo, dunque...” rifletté Hohenheim.
“Continua il tuo racconto” gli intimò Edward.
L’uomo ubbidì.
“Greed trovò Envy, ovviamente, e lo convinse a tornare a casa. Da quel momento in poi, però, la personalità di Matthew scomparve completamente e rimase solo Envy, tanto che io dovevo restarmene tutto il giorno rinchiuso nel mio studio per evitare che, nel vedermi, l’Homunculus mi attaccasse. La situazione stava diventando insostenibile, anche perché in quel periodo non feci nessun passo avanti nella mia rcerca...” Spostò lo sguardo su Reina. “Fu in quel momento che ricomparve quella donna, una parte del passato di Matthew che non avrei mai creduto si sarebbe ripresentata: Karasu Akitsumi.”
Il cuore di Reina accelerò.
“Karasu... La principessa dalle ali di corvo” mormorò, poi si coprì la bocca con la mano.
Gli occhi color oro di Hohenheim rimasero fissi nei suoi.
 
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Yue Hikari
CAT_IMG Posted on 11/3/2012, 13:36




CITAZIONE
“E quelli non sono forse i tre pericolosi ricercati che...”
La parte superiore dell’uniforme di Armstrong scomparve inesplicabilmente.
“Ah, avrete sicuramente sentito il dolce suono della mia muscolatura!” esclamò pompando i muscoli. “Andiamo! La pista è ancora calda...”
“Ma maggiore, qelle persone laggiù...”

xD Armstrong...

Urgh, le parentele...sta diventando una soap.

CITAZIONE
“Karasu... La principessa dalle ali di corvo” mormorò, poi si coprì la bocca con la mano.

Ok, aiuto. ò-ò
 
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GreenArcherAlchemist
CAT_IMG Posted on 11/3/2012, 21:58




...Yue, non ti vedo convintissima...
 
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Yue Hikari
CAT_IMG Posted on 12/3/2012, 14:44




é che dovrei rileggermi tutto perchè mi rendo conto che non mi ricordo metà della storia...<.<
 
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GreenArcherAlchemist
CAT_IMG Posted on 12/3/2012, 18:33




No! Non farlo! Aspetta la versione migliorata, che verrà postata non appena questa qui finirà (mancano pochi capitoli)!
Quali sono le parti che ti hanno dato dei problemi? Posso aiutarti a fare chiarezza...
 
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4 replies since 8/3/2012, 17:56   62 views
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